Religione - Le meditazioni presenti nel libro di Welte indagano i titoli e i simboli associati alla Madonna nella tradizione cristiana Pensare, edificare e orientare l’esistenza dei fedeli attraverso il suo esempio perché lei può davvero indicare la via del discepolo, avendola percorsa per prima
di Luigino Bruni
pubblicato su Avvenire il 24/09/2025
Bernhard Welte (1906-1983), filosofo, sacerdote e teologo tedesco, è stato uno dei più importanti rappresentati della filosofia della religione del Novecento, una figura al centro dei dibattiti mitteleuropei sulla natura del cristianesimo, sulla sua dimensione storica e il suo divenire.
Welte si inserisce dentro quel movimento che provò a pensare Dio al di fuori della metafisica occidentale, ma salvando una sua presenza reale e presente nella vita concreta delle persone e delle comunità. In particolare ha lavorato molto sul dialogo tra cristianesimo e mondo post-moderno, di cui colse le contraddizioni ma anche le potenzialità per una nuova primavera cristiana, inclusa una rivalutazione della critica di Nietzsche, che, con Heidegger (suo concittadino e amico), è all’origine dell’ispirazione di quella che resta forse la sua linea di ricerca più affascinante : “la luce del nulla”.
Perché è forse impossibile per il cristianesimo trovare oggi una via di accesso alla post-modernità senza prendere molto sul serio il grido nichilista di Nietzsche. Quello di Welte è stato un percorso intellettuale e biografico tragico, rappresentabile dall’immagine del combattimento di Giacobbe con l’angelo (Gen 32), episodio biblico a lui molto caro.
Potrebbe, allora, stupire che un filosofo di questa natura e calibro abbia dedicato alcune meditazioni popolari a Maria, che oggi torna in stampa in nuova edizione, la prima è del 1977, Maria la madre di Gesù. Meditazioni (Morcelliana, pagine 80, euro 10,00). Maria è sempre stata oggetto del cuore, dell’arte, della preghiera, della pietà popolare. Ma la teologia e la filosofia non hanno scritto le pagine più belle su Maria, sia quando l’hanno esaltata attribuendole privilegi unici e irripetibili, sia quando, dopo Lutero, l’hanno confinata in uno spazio teologico troppo angusto e in uno liturgico e popolare quasi inesistente. Oggi sarebbe veramente necessario un nuovo incontro post-moderno con Maria, purificato dalla teologia della Controriforma e dal movimento mariano dell’Ottocento con le sue molte mariologie, che includa anche una rivisitazione degli eccessi delle pietà popolari, sebbene la Maria popolare resti di gran lunga preferibile a quella dei teologi. Perché alla teologia antica e moderna su Maria non è bastato il Vangelo con tutta la Bibbia per parlare di lei: ha voluto costruirle cattedrali usando come mattoni i pochi sostantivi, verbi ed aggettivi evangelici, che spesso hanno finito per allontanarla dal popolo. Maria, infatti, è già grandissima e amatissima restando semplicemente fedeli a quanto di lei ci dicono i vangeli, e rimane grandissima e bellissima proprio e finché resta una creatura e una madre, una donna, finché rimane dalla parte della storia e della carne, come noi; con una missione unica e speciale, certo, ma sempre della nostra stessa natura, sempre dalla nostra stessa parte del cielo, una parte umana che lei rende ancora più bella con la sua bellezza straordinaria e umanissima: «Una madre, per natura, anzitutto crede a suo figlio. Perché per Maria dovrebbe essere stato diverso? C’è un legame naturale di simpatia che unisce madre e figlio e che insegna alla madre a preferire suo figlio a tutti gli altri e in questo senso a credere a lui. Ma questa fede naturale viene messa alla prova non appena il figlio comincia ad andare per la sua strada».
Welte è stato un grande amante della dimensione storica del cristianesimo, e questo sguardo avvolge anche la sua idea di Maria. La Maria della storia ha impiegato tutta la vita per capire chi fosse veramente suo figlio, e, probabilmente, non l’ha mai capito del tutto. Maria di Nazareth ha dovuto anch’ella credere e convertirsi alle parole di suo figlio – come tutti, come noi. E affermare ciò non riduce il valore di Maria ma lo accresce, perché umanizza la sua fede, non le fa nessuno sconto antropologico per i suoi «meriti» pregressi e retroattivi, e diventa davvero icona di ogni credente. Quando Maria, invece, viene allontanata dal Vangelo e dalla sua natura tutta umana, finisce per entrare nel mito e farle quindi seguire le sue tristi sorti nel tempo moderno.
Maria è modello e icona della fede cristiana, perché nonostante abbia avuto un ruolo unico e irripetibile nella storia umana, soggettivamente ha vissuto lo stesso cammino dei discepoli di suo Figlio («figlia del tuo figlio», Dante, Paradiso). Anche lei è dovuta diventare «arameo errante» come tutti i cristiani, e ritrovare nello Spirito il figlio della carne: «Maria faceva parte della cerchia dei discepoli raccolti a pregare…. Si può pensare: in quest’ora Maria fu pienamente la prima e più cara sorella della giovane chiesa credente. Si può pure pensare: in questa comunità anche per lei si compì il lungo e talvolta faticoso cammino. Si chiarirono le cose, che talora erano sembrate oscure».
La Maria della gente è molte cose insieme, e in genere tutte buone. Il seme del messaggio del Vangelo è cresciuto lentamente nell’humus delle antiche culture mediterranee, dei suoi amati semi-dei e divinità maschili e femminili, incluse quelle etrusche e romane venerate con il bambino in braccio. Il cristianesimo ha assunto molto delle vestigia religiose che ha incontrato lungo i secoli, e il Medioevo ‘cristiano’ fu molto più ampio e meticcio del solo vangelo. Le lacrime e le candele ai piedi della Madonna sono vecchie di migliaia di anni, da quando le donne e gli uomini iniziarono ad avere uno sguardo simbolico sulla terra e cercarono segni e mezzi per parlare con l’invisibile e con gli abitanti dell’altra vita invisibile ma che sentivano molto reale. La Maria del popolo non è mai stata solo quella della chiesa. Era madre di Gesù, ma anche immagine del volto femminile della divinità, in uno spazio sacro tutto dominato da maschi, in cielo e sulla terra. Era amatissima dalle donne anche perché madre con il bambino in braccio o con il figlio sulle ginocchia (pietà), donne del popolo che non sapevano i dogmi trinitari ma pregavano una madre che aveva vissuto la loro stessa vita, aveva gioito e sofferto come loro. I pianti ai piedi delle sue statue, amatissime, e dei suoi dipinti, non erano pianti teologici, erano molto di diverso e di più. Tutto ciò non riduce Maria, la storicizza e umanizza.
Molto bella, infine, l’immagine che Welte ci dona nel capitolo dedicato a Maria, piena di grazia: «Consideriamo la vita intellettuale. Si sviluppa negli interrogativi, nelle ricerche, nel pensiero. Dovunque ciò si coltivi, si debbono investire in grande misura la fatica e la diligenza umana. Ma si può fare l’esperienza che proprio il momento decisivo di tutta questa vita e di tutto questo lavoro non proviene dalla diligenza umana… Si può magari dire: adesso mi è venuto in mente l’idea. Da dove può essere venuto qualcosa nel cammino faticoso del nostro lavoro quotidiano? Poiché per il sopravvenire di una buona idea tutto può diventare improvvisamente migliore, più libero, più lieto, più aperto… Qualcosa deve mostrarsi come Charis, come grazia».









