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«Recuperiamo l’anima collettiva smarrita»

Senza un aggiornamento della propria vocazione economica e civile, l’Italia è destinata a diventare il Paese dei balocchi dei turisti di tutto il mondo

di Luigino Bruni

pubblicato su Corriere della Sera - Supplemento Buone Notizie del 26/03/2019

Le economie sono molte e diverse, anche nell’era della globalizzazione che cerca di farcelo dimenticare. Il XX secolo era stato il secolo dell’economia plurale. Non per caso, la filantropia si è sviluppata negli Usa e il movimento cooperativo in Europa. Fino a tre decenni fa, queste differenze culturali, sociali ed economiche tra capitalismi erano molto evidenti, facevano parte del patrimonio identitario e civile dei popoli e delle nazioni, aumentavano la biodiversità della terra. La ricchezza straordinaria prodotta dal XX secolo dipendeva anche dagli incontri tra diversità, i soli incontri veramente generativi. La riduzione di bio-diversità tipica del nostro tempo si trasformerà presto in riduzione di ricchezza, se non ricominceremo a guardare i luoghi e porli al centro dell’analisi economica e politica.

Il Festival nazionale dell’Economia civile nasce dalla convinzione che una riflessione culturale, politica ed economica sulla natura e sulla vocazione del capitalismo italiano, meridiano, cattolico, comunitario, «civile», possa aiutare la nostra società che soffre anche «per mancanza di pensiero» (Paolo VI). Siamo dentro una carestia intellettuale che ci impedisce di capire che per riformare la scuola, il lavoro, la cura, le comunità, le cooperative, le banche, ci sarebbe bisogno prima di cercare di capire lo specifico che un territorio, una storia, un’anima collettiva hanno generato nei secoli. I bambini e i giovani, ad esempio, vanno a scuola in tutto il mondo (o quasi), e sono simili tra di loro in molte cose ma non in tutte: per fare buona scuola occorre avere un’idea dello spirito di un luogo e di un tempo. L’Italia ha inventato nel Medioevo e nella Modernità le università e le accademie, perché in quei secoli ha saputo leggere nel profondo della sua vocazione e poi ha trasformato lo spirito in istituzioni. Ha generato la prima cattedra di economia nella storia, nata nel 1754 dalla sinergia tra un riformatore toscano, Bartolomeo Intuire, un abate salernitano cacciato dalla facoltà di teologia di Napoli, Antonio Genovesi, e quindi la tradizione dell’Economia civile nata dall’incontro tra lo spirito laico e quello cristiano italiano e europeo.

L’Economia civile è stata la forma che ha preso nella modernità lo spirito economico e sociale del nostro Paese, che vede nella pubblica felicità, eredità del mondo romano, il proprio obiettivo e ideale. Oggi all’Italia mancano spirito e istituzioni, economia civile e felicità pubblica, perché abbiamo smarrito l’anima collettiva del nostro umanesimo. L’economia è espressione della vita nei territori, nell’oikos, è una faccenda di luoghi concreti del vivere e di relazioni che in quei territori nascono e rinascono ogni giorno, come sapeva bene l’economista fiorentino Giacomo Becattini, che ha raccontato un’altra storia economica e civile dell’Italia, perché osservatore e ascoltatore dei luoghi e della loro «coralità produttiva».

I luoghi, non gli individui, sono l’unità elementare del benessere e dello sviluppo. La creazione di valore dipende dai valori delle persone e delle loro relazioni, come nel linguaggio, dove la prima unità di senso da cui partire per comprendere un discorso è la frase e non la singola parola in essa contenuta. Il Festival sarà una occasione per riflettere sulla crisi e sulla vocazione dell’Italia e dell’Europa, a partire dal suo specifico e diverso spirito civile del mercato. Senza un aggiornamento della propria vocazione economica e civile, l’Italia è destinata a diventare il Paese dei balocchi dei turisti di tutto il mondo. E sarebbe davvero troppo poco.

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