Le virtù del mercato, MSA

Per le misure contro la povertà si dovrebbero ascoltare i poveri veri, oppure i loro rappresentanti «per vocazione», che si affianchino ai tecnici e ai politici che la povertà la conoscono quasi sempre per sentito dire.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 04/01/2019

Sono stato recentemente ad Assisi, e sono passato a San Damiano, dove si ricorda che «qui il Signore parlò a Francesco». Le vocazioni hanno sempre un luogo e un tempo esatti, sono infinitamente concrete, e orientate a un compito: «Qui, il 20 maggio 1986, incontrai tua madre»; «qui, il 26 agosto del 1990, sentii la chiamata»… All’inizio Francesco pensò che «la chiesa» da riedificare fosse la chiesetta diroccata di San Damiano; solo col tempo si capì che la chiesa da riedificare era in realtà la Chiesa di Cristo. Un fenomeno che si ritrova in molte fondazioni carismatiche e profetiche: si inizia con un compito concreto e puntuale, e poi si capisce che ciò che era oggetto della chiamata era molto diverso.

La pietà popolare è stata un immenso esercizio collettivo di sovversione, soprattutto di donne. Fu, a modo suo, un meraviglioso inno alla vita, la risposta popolare alle idee teologiche sbagliate.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 10/06/2024

«In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito». Questa è una celebre frase dell’Introduzione di Fontamaradi Ignazio Silone, uno dei romanzi più belli e importanti del Novecento italiano. «Cafone» è una parola che Silone usava in un significato diverso da quello comune. Era il nome dei contadini della piana del Fucino e, in generale, un nome con cui lo scrittore indicava gli oppressi e i dimenticati della terra. Una parola di dolore, certo, ma mai usata da Silone in senso dispregiativo, in modo da suscitare vergogna. E invece il dolore è ancora oggi causa di vergogna, soprattutto nei poveri. La mia famiglia ha conosciuto la povertà. L’hanno conosciuta i miei nonni, e la sua eco viva è giunta fino a me. Da questa eco nascono le mie parole sulla povertà, sull’economia, sulla teologia. 

l mondo degli ordini religiosi non è sovrapponibile al mondo delle imprese. Eppure, soprattutto nei momenti di difficoltà, esistono delle analogie...

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 29 luglio 2020

«Noi suore della generazione di mezzo saremmo felici di dedicare il resto della nostra vita a occuparci delle suore anziane, in modo da liberare le suore giovani dal grande peso che comporta la cura di una congregazione così anziana». Queste parole me le ha dette la Madre Generale di una congregazione, qualche giorno fa. Una generosità che mi ha commosso, e poi mi ha stimolato una riflessione di carattere più generale sul presente e sul futuro degli ordini religiosi della Chiesa.

Se vogliamo riavvicinare lo spirito moderno al messaggio di vita di Gesù, dobbiamo operare una purificazione del linguaggio teologico, iniziando da quello economico e commerciale.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 12/07/2024

Il primo a usare la metafora economica nel Nuovo Testamento fu san Paolo che, nella Prima lettera ai Corinzi, utilizza addirittura la parola prezzo: «Siete stati comprati a caro prezzo» (7,23).Poiché Paolo è un gigante della teologia cristiana, molti teologi da allora in poi pensarono che non si potesse parlare di teologia senza usare la metafora del «prezzo della salvezza». San Paolo, però, nelle sue lettere usa anche altre metafore, tra cui quella sportiva (cfr. 1Cor 9,24-26). Eppure nessun teologo del passato e del presente ha mai pensato che tale metafora fosse necessaria per spiegare la teologia cristiana. Invece, dalla metafora economica è discesa una vera e propria «economia della salvezza», che giustificherebbe l’esistenza di una specie di contratto con prezzi da pagare e da riscuotere, e vedrebbe Gesù come un «divin mercante». Dimenticando che le metafore bibliche sono sempre aurora di discorso, punti di partenza. L’altra metà del ragionamento deve restare non detta: solo le metafore parziali lasciano uno spazio libero tra il mistero di Dio e le nostre idee teologiche su di lui

Se non si impara a casa, e nei primi anni di vita, il valore della gratuità, da adulti saremo mossi solo dal denaro e non saremo buoni lavoratori. Lasciamo gli incentivi e le paghe ai grandi, e proteggiamo i nostri piccoli dall’impero del denaro.

di Luigino Bruni

pubblicato il 04/02/2024 su Il Messaggero di Sant'Antonio

La paghetta dei ragazzi e delle ragazze è un tema controverso, e sotto vari aspetti. Spesso è un’espressione che accomuna fenomeni molto diversi tra di loro. In senso stretto, la paghetta è una somma di denaro – settimanale o mensile – che i genitori consegnano a un figlio/a che non ha un reddito proprio, perché lo usi per le sue spese ordinarie. In genere, la paghetta si riferisce a ragazzi/e adolescenti o pre-adolescenti, non a bambini e non a studenti universitari. Una seconda confusione riguarda poi l’accomunare la paghetta e l’incentivo monetario nei vari «lavoretti» dei figli. Perché dare un tot di euro alla settimana come paghetta è diverso dalla creazione di una sorta di mercato familiare dove i vari servizi domestici sono associati a un prezzo: 3 euro per sparecchiare, 4 per lavare i piatti, ecc... I due strumenti – paghetta e incentivo – possono coesistere in famiglia, ma l’uno può sussistere anche senza l’altra, e viceversa.

Oggi dovremmo prendere la parte ancora viva del cristianesimo e inculturarlo nel nostro tempo post-cristiano, che non capisce più i linguaggi della fede, ma che li capirebbe con una adeguata operazione culturale e narrativa.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 03/03/2023

La cristianità, cioè la civiltà cristiana, non è nata solo dal Vangelo. È stata il risultato di una ibridazione tra vangeli, Bibbia, cultura greco-romana, civiltà italiche ed europee, e poi longobarda, nordica, slava, bizantina, araba. L’Europa cristiana è il frutto di questo meticciato, molto più ricco e variegato delle sole teologia o fede cristiana. La pietà popolare è un intreccio di molti fedi e tradizioni, le processioni hanno progressivamente preso il posto delle processioni pagane dedicate agli dèi dei campi e della natura. La grande maggioranza di italiani ed europei pre-moderni non aveva alcuna idea di che cosa fosse la Trinità, della differenza tra Gesù e Dio Padre, di quella tra Gesù, la Madonna e i santi: erano tutte divinità da cui, credeva, dipendesse la vita. Nelle loro feste gli antichi europei e italiani continuavano a cantare le solite canzoni dietro baldacchini che avevano solo cambiato la statua trasportata, e a volte neanche questa.

Come insegnare l'uso corretto del denaro ai figli? Ecco quattro regole che potrebbero risultare utili in famiglia...

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di Sant'Antonio il 04/12/2022

L’uso del denaro all’interno delle relazioni primarie è sempre molto delicato, soprattutto in famiglia, dove nel gioco monetario entrano i bambini, i ragazzi e gli adolescenti. Potrebbe essere utile seguire quattro regole, suffragate dalle ricerche della scienza economica e dalla pratica.

Una delle grandi novità introdotte nel Novecento dal capitalismo di matrice Usa è stata la sovranità del consumatore. Oggi però il consumo sta cambiando natura, perché è cambiato il mercato.

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di Sant'Antonio il 01/10/2023

C’è un aspetto della nostra società capitalistica che non è ancora sufficientemente discusso dagli economisti e dai filosofi. Mi riferisco all’assolutizzazione della categoria di consumatore. Una delle grandi novità introdotte nel Novecento dal capitalismo di matrice Usa è stata la sovranità del consumatore.All’inizio, soprattutto nel primo dopoguerra, l’arrivo di questo nuovo protagonista della vita civile fu accolto come una buona novità, e in parte lo era. Il consumo nei mercati, il consumare, fu visto come una forma della libertà dei moderni, che creava nuove opportunità e nuove uguaglianze: anche se sono un operaio, se non ho studiato, anche se non sono di buona famiglia, anche se non faccio parte dell’élite, quando entro in un negozio con il denaro posso acquistare la stessa automobile dei signori. Nel momento dell’acquisto mi sento uguale ai capi e ai ricchi, non mi sento secondo a nessuno. Questa prima stagione del consumo di massa è stato un passaggio importante della democrazia, prima in Occidente e poi in tutto il mondo (oggi questi fenomeni sono importanti soprattutto in Africa e in Asia). Il denaro non odora neanche di classe sociale: non saprò parlare in modo elegante e forbito, sono figlio di contadini, ma quando vengo nel tuo negozio mi devi trattare con la stessa dignità con cui tratti i signori.

Un sistema sociale che premia chi è già capace non fa altro che lasciare sempre più indietro i meno capaci, che in genere non sono tali per demerito, ma per le condizioni di vita.

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di Sant'Antonio il 04/06/2023

Le dimissioni del senatore Carlo Cottarelli perché, tra l’altro, non vedeva il suo partito abbastanza deciso nel sostenere la meritocrazia, ha posto di nuovo l’attenzione sul significato e sull’ideologia del merito nel nostro tempo. Merito è sempre stata una parola ambigua, perché profondamente legata al fascino che il merito esercita su tutti noi. Tutti vorremmo meritarci i nostri successi (meno meritarci gli insuccessi), nessuno ama pensare che la bella carriera che ha fatto sia frutto soltanto della fortuna e di raccomandazioni.

Se vogliamo avere un rapporto giusto con il lavoro dobbiamo ricordarci che prima sono l’uomo e la donna a nobilitare il lavoro con la loro presenza, con le loro mani e con la loro intelligenza.

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di Sant'Antonio il 06/07/2023

Le crisi ambientali, finanziarie e militari di questo inizio di millennio, talmente gravi da non poter essere ignorate, rischiano però di farci sottovalutare o dimenticare una triplice crisi di cui si parla troppo poco: la crisi della fede, delle grandi narrative e del generare. Un mondo che non attende più il paradiso, che ha dimenticato le narrative collettive e che non mette al mondo figli, non trova più un sufficiente senso per vivere e quindi per lavorare. Le cosiddette «grandi dimissioni» di milioni di lavoratori, giovani e di mezza età, che lasciano il lavoro senza averne un altro, hanno certamente molte ragioni, ma una sta diventando quella dominante. È la mancata risposta a una domanda cruciale: «Perché dovrei lavorare, se non spero più in una terra promessa (sopra o sotto il cielo), se non ho nessuno che dal mio lavoro spera in un presente e un futuro migliori?».

Possiamo comprare alcune felicità: la gioia di vivere no, è gratuità pura, ed è la più bella. Arriva spesso, quasi ogni giorno. Siamo noi che dobbiamo imparare a riconoscerla, a farle spazio.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 02/10/2024

La felicità è la grande promessa della nuova economia di mercato. Ieri ci prometteva il benessere, oggi la felicità. Ce la promette in molti modi, per ultimo con l’intelligenza artificiale che, finalmente, facendo meglio di noi tutto ciò che non ci piace e nuove cose che non facciamo ancora, ci donerà la perfetta felicità. Una felicità che ha a che fare con l’avere, con il comfort, con la libertà di scelta, con la crescita, con il «di più», e spesso confina con il divertimento e con il piacere. Alcune di queste felicità commerciali sono anche buone, ci piacciono e magari ci fanno anche un po’ bene.

La prima regola di ogni economia è l’equilibrio tra entrate e uscite. Una buona economia parte dalle entrate e su queste regola le uscite. Peccato che nel nostro Paese ultimamente non vada proprio così...

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di Sant'Antonio il 07/09/2023

Un giorno, cercando pigramente qualcosa di interessante tra i canali tv, mi sono imbattuto in un programma sui grandi hotel italiani. Un gruppo di persone si faceva ospitare in questi hotel di lusso, per fare poi una valutazione dei vari servizi offerti. Ciò che mi ha colpito è la totale assenza in questa trasmissione della dimensione del cosiddetto «vincolo di bilancio»: questi signori-valutatori ordinavano cene, servizi vari, senza mai preoccuparsi del loro prezzo, come se vivessero in un mondo nel quale il costo di un servizio e di una merce non fosse un elemento importante per la scelta. Le famiglie normali guardano questi programmi, poi si imbattono nella pubblicità di prestiti facili, che ha (purtroppo) per protagonista un simpatico volto delle nostre fiction, e così non è difficile mettere insieme i pezzi. Pensare cioè che quella vita fatta di vacanze in hotel stellari in un mondo senza vincoli di bilancio familiare diventa possibile e facile grazie a prestiti facilissimi di persone e istituti finanziari simpatici che sono lì solo per la nostra felicità.

Se la scuola inizia a distinguere gli studenti in leader e follower, mina uno dei pilastri dell’educazione: la riduzione in classe delle diseguaglianze naturali e sociali per creare quella comune cittadinanza essenziale a ogni patto sociale.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 04/05/2024

Leadership è diventata parola sacra della nuova religione del capitalismo. La si invoca ovunque. Anche gli ambienti ecclesiali – dove si incontrano corsi sulla leadership di Gesù, di san Benedetto e persino di san Francesco – ne sono ammaliati.Nonostante il fondatore del Cristianesimo abbia detto: «Non vi fate chiamare guide (cioè leader), perché una sola è la vostra guida» (Mt 23,10), e poi costruito tutto l’umanesimo cristiano attorno al concetto di sequela, che è l’esatto opposto della leadership. E invece, pur moltiplicandosi gli aggettivi (inclusiva, gentile, comunitaria …), il sostantivo, leadership, non viene mai messo in discussione. 

Pensiamo, ogni tanto, alla felicità, ma soprattutto pensiamo alla verità, alla bontà e alla giustizia della vita, nostra e di quella degli altri.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 06/09/2024

La felicità è troppo poco. Sembra una frase, questa, totalmente stonata in un tempo come il nostro, che ha fatto della felicità l’ideale più grande, a volte unico, della vita. Cercare la propria felicità, o la propria realizzazione, è diventato un imperativo etico, e chi prova, come faccio anche io da anni, a metterlo in discussione, appare bizzarro o magari depresso.«Cerca di essere finalmente felice…» è diventata così una delle frasi più sentite e che sembrano pure convincenti. Ma, in realtà, le cose sono più complicate. Innanzitutto, non è vero che la felicità è una realtà nuova. I greci, pensiamo ad Aristotele, l’avevano messa al centro del loro umanesimo, perché per quei filosofi antichi non c’era nulla di più degno e nobile della felicità (eudaimonia), definito il fine ultimo, il bene perfetto oltre il quale non vi era nulla che valesse.

L’imprenditore, onesto e civile, oggi soffre perché viene scambiato con lo speculatore, perché troppi imprenditori si sono trasformati, a volte senza volerlo, in speculatori, divorati dalla sindrome della rendita. È ora di iniziare a vederlo, e a dirlo.

di Luigino Bruni

pubblicato il 04/01/2024 su Il Messaggero di Sant'Antonio

Da sempre l’economia è il risultato di una tensione, o di un conflitto, tra profitti e rendite, cioè tra chi per guadagnare deve produrre nuovo reddito nel tempo presente, e chi guadagna oggi per ricchezze accumulate ieri e dalla passate generazioni.Gli imprenditori vivono di profitti, gli speculatori di rendite. La critica radicale nei confronti dell’usura che troviamo nella Bibbia e nel Vangelo (di Luca) ha la sua radice in una profonda avversione verso la rendita. L’usura, in un mondo sostanzialmente statico come era quello antico, è infatti una forma di rendita, cioè un reddito che nasce dal solo fatto di detenere il potere su un mezzo fondamentale (la moneta). Non c’è lavoro dietro alle usure, solo la forza e i privilegi. La critica all’usura ha attraversato tutto il Medioevo e la Controriforma, perché si riallacciava alla critica della Chiesa nei confronti delle rendite, sebbene gli stessi ecclesiastici fossero parte della classe redditiera; una delle tante contraddizioni della storia, e anche delle ragioni della poca efficacia della lotta della Chiesa nei confronti dell’usura, una lotta che conviveva con privilegi, anche politici, accordati ai banchieri-usurai dei Papi.

All’origine della civiltà biblica c’è l’istituzione solidale della spigolatura. Il libro di Rut è tutto costruito su di essa: quando i mietitori passavano a tagliare le messi non ripassavano una seconda volta, perché la seconda battuta era per i poveri...

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di S. Antonio il 07/05/2023

«Signore come funziona questa macchinetta per il parcheggio?»mi chiede una signora anziana che stava cercando, come me, di pagare la sosta nelle righe blu. In quella città l’azienda che gestisce i parcheggi comunali - cioè suolo pubblico, quindi di tutti -, ha avuto la buona idea, ormai diffusa, di richiedere al cittadino di inserire nella macchinetta il numero della targa. «Non me la ricordo», mi dice la signora. Mi indica dove si trova la sua auto, distante per lei che aveva difficoltà a camminare. Vado, faccio una foto alla targa, e l’aiuto a pagare il ticket.

Il mercato è una faccenda di relazioni e le relazioni positive sono quelle che fanno crescere tutti e in cui non perde nessuno. In questo il mercato è davvero diverso dallo sport.

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di Sant'Antonio il 23/09/2022

Da sempre lo sport viene accostato ai mercati e all’economia, ma non sempre i parallelismi sono proposti con una sufficiente attenzione e con uno sguardo che sa discernere. Infatti, le parole e le ispirazioni che lo sport può offrire ai mercati sono diverse: alcune sono buone e utili, altre meno, qualcuna è semplicemente fuorviante. Iniziamo da quelle buone. Una prima riguarda il rapporto che c’è negli sport individuali tra il singolo atleta e la propria squadra di appartenenza o la squadra nazionale.

Per tanti anni abbiamo consumato i capitali naturali, civili e spirituali come se fossero infiniti. Che fare ora che quei capitali stanno davvero finendo?

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 06/04/2024

L’economia antica pensava che la ricchezza fosse legata al possesso di capitali. Palazzi, miniere, e soprattutto oro, erano considerati la vera ricchezza di famiglie, città o Stati. Quindi, la politica economica aveva un’unica indicazione: aumentare l’oro nei forzieri, e fare di tutto per farne uscire il meno possibile. A metà Settecento, poi, la scuola francese della «Fisiocrazia» operò un cambiamento radicale, dicendoci che la ricchezza più importante era invece un’altra: il flusso annuale di reddito che i capitali generano.E nacque il concetto del Pil, il prodotto interno lordo, che poi diventerà operativo solo con l’inizio del XX secolo e con lo sviluppo delle tecniche di contabilità nazionale.

Le virtù del mercato - Troppo spesso nel passato si è fatta passare per umiltà ciò che in realtà erano vere e proprie umiliazioni. Ma la prima espressione di umiltà è quella di riscattare chi è stato umiliato.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di S.Antonio il 09/04/2018

Economia umiltà MSA ridUmiltà è una parola fondamentale dell’umanesimo occidentale, al centro di ogni processo educativo, che è presente in ogni persona che stimiamo davvero.Ma, come tutte le parole grandi della vita, anche «umiltà» è ambivalente, perché c’è umiltà buona e umiltà cattiva.

Non possiamo dimenticare che, nei secoli passati, in nome del valore dell’umiltà sono state umiliate tante persone, tante donne, tanti poveri. Persone umiliate dai potenti, e magari veniva loro raccomandato di coltivare l’umiltà nella loro umiliazione. Questo uso dell’umiltà e dell’umiliazione è tutt’altro che virtù, e ha generato tanto dolore e ha fatto sfiorire troppe persone. Non è infatti questa umiltà-umiliazione quella che ritroviamo nella Bibbia e nei vangeli, dove invece gli umili vengono «innalzati» (Magnificat), non vengono lasciati umiliati. Nell’umanesimo del Magnificat ciò che si loda è il riscatto di chi è stato umiliato e non lasciato nella sua condizione di vittima.

Tornare (o andare) oggi all’economia di Francesco significa prendere sul serio l’«agape», l'amore disinteressato. La sua fraternità non è quella del sangue, ma l’incontro di due o più «agape». 

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di Sant'Antonio il 28/10/2020

L’amore è uno, ma gli amori sono molti. Lo sappiamo tutti, almeno sul piano dell’esperienza. Amiamo molte persone e molte cose, siamo amati da molti, ma in modi diversi. Amiamo i genitori, i figli, le fidanzate e le mogli, fratelli e sorelle, maestre, nonni e cugini, poeti e artisti. E amiamo, molto, gli amici e le amiche. Moltissimo i fratelli, forse ancora di più le sorelle. L’amore umano poi non si limita agli esseri umani. Raggiunge gli animali, tocca la natura intera, sfiora Dio. Il mondo greco, per dire amore aveva due parole principali, erose philia, che non esaurivano le sue molte forme, ma che offrivano un registro semantico più ricco del nostro per declinare questa parola fondamentale della vita. Quel lessico era capace di distinguere il «ti voglio bene» detto alla donna amata dal «ti voglio bene» detto a un amico, e allo stesso tempo riconoscere che il secondo non era né inferiore né meno vero del primo. 

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