Luigino Bruni

Profezia è storia/29 - Nella sconfitta, quando una storia finisce, si scoprono verità e forza di Dio

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenireil 22/12/2019

"Perché hai portato via i miei figli, perché li hai fatti uccidere a fil di spada e li hai lasciati alla mercé dei nemici? E allora il Dio supremo fu mosso a compassione e disse: «Per te Rachele, per te ricondurrò i figli d’Israele alla loro terra»"

Louis Ginzberg,Le leggende degli ebrei

Siamo giunti alla fine del commento dei Libri dei Re, con la distruzione di Gerusalemme e con l’esilio. Ma anche dentro l’esilio può nascondersi una paradossale <oikonomia>

«Il settimo giorno del quinto mese – era l’anno diciannovesimo del re Nabucodònosor, re di Babilonia – Nabuzaradàn, capo delle guardie, ufficiale del re di Babilonia, entrò in Gerusalemme. Egli incendiò il tempio del Signore e la reggia e tutte le case di Gerusalemme; diede alle fiamme anche tutte le case dei nobili. Tutto l’esercito dei Caldei, che era con il capo delle guardie, demolì le mura intorno a Gerusalemme. Nabuzaradàn, capo delle guardie, deportò il resto del popolo che era rimasto in città, i disertori che erano passati al re di Babilonia e il resto della moltitudine» (2 Re 25,8-11). Con la fine della storia di Gerusalemme, occupata, distrutta, data alle fiamme e con parte del popolo deportato in Babilonia, termina anche il nostro commento al Secondo Libro dei Re. E si conclude anche quella storia che era partita nella Genesi, nel caos informe, vivificato e ordinato dallo Spirito. Lì fa la comparsa l’Adam, il centro di quella creazione che culmina nello shabbat, nell’atto/non-atto con cui Elohim, nel settimo giorno, "smette" (shabbat) e si separa dalla sua creazione. Uno smettere e un separarsi che sono anche l’inizio della storia, cioè di quell’intreccio di vita e di morte, di virtù e di peccato, di parole di Dio e parole di uomini e donne, di cui è composta la Bibbia. Lo shabbat (non l’uomo) è il culmine della creazione, ed è anche il suo destino e il suo eskaton. La creazione termina con lo shabbat a dirci che la storia terminerà quando tutto sarà shabbat, quando la stessa legge varrà per tutti gli uomini e donne senza più le distinzioni dei molti status degli altri sei giorni, e quando la fraternità umana abbraccerà la terra e il cosmo. Non troveremo un rapporto possibile e capace di futuro con il creato se non daremo vita a una nuova cultura dello shabbat, senza imparare di nuovo a "smettere". 

Il libro - Il racconto del muratore Lorenzo, la salvezza dello scrittore e la dignità del saper fare

di Luigino Bruni

pubblicato su Il sole 24 ore il 25/08/2023

 «Il muratore italiano che mi ha salvato la vita, portandomi cibo di nascosto per sei mesi, detestava i tedeschi, il loro cibo, la loro lingua, la loro guerra; ma quando lo mettevano a tirar su muri, li faceva dritti e solidi, non per obbedienza ma per dignità professionale». Questo episodio raccontato da Primo Levi in molte sue opere, è diventato paradigma dell’etica del lavoro ben fatto, del muro tirato su dritto per ragioni molto più profonde dell'incentivo.

Capitali narrativi/10 - La sfida impedire la trasformazione dell’ideale in ideologia

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 14/01/2018

180114 Capitali narrativi 10 rid«Immagina che [agli uomini legati dentro la caverna] capitasse naturalmente un caso come questo: che uno fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce. … Credi che invidierebbe quelli che tra i prigionieri avessero onori e potenza? … o preferirebbe patire di tutto piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quel modo? Non sarebbe egli allora oggetto di riso? E chi prendesse a sciogliere e a condurre su quei prigionieri, forse che non l’ucciderebbero?»

PlatoneLa Repubblica

È tipico del pensiero ideologico – di ogni ideologia ma soprattutto di quelle di natura religiosa – dar vita a una rappresentazione del mondo di tipo dicotomico o gnostico. Si esaltano la felicità, la bellezza, la verità, la luce speciale di chi è dentro quell’esperienza, e si svalutano le felicità e le bellezze ordinarie di quelli che sono fuori. L’amicizia, il lavoro, il gioco, l’arte, la vita di tutti non bastano più. C’è bisogno di caricare queste realtà di significati aggiuntivi straordinari e diversi. E presto si finisce per non riuscire più a gioire di rivedere un “amico e basta”, del “lavorare e basta”, di “pregare e basta”, di “dipingere e basta”. Si comincia a credere che la semplice vita non basti per vivere. E mentre ci si convince di vivere più degli altri, si rischia di smettere di vivere veramente.

In questo tempo di nuove e grandi migrazioni, dobbiamo imparare, tutti, a leggere questi fenomeni con le categorie giuste e poi agire di conseguenza.

di Luigino Bruni

pubblicato su pdf Città Nuova (76 KB) n.11/2017

Cooperazione CN ridIn questo tempo di nuove e grandi migrazioni, dobbiamo imparare, tutti, a leggere questi fenomeni con le categorie giuste e poi agire di conseguenza. In genere, le persone ben disposte verso il grande valore dell’accoglienza, si fermano troppo presto e in superficie. Si fa riferimento, ad esempio, all’esperienza di migranti dei nostri nonni in Europa o in America, e si dice: dobbiamo essere accoglienti con i migranti perché in un passato recente siamo stati migranti anche noi. Si cita, poi, l’accoglienza del forestiero come un principio di tutte le grandi civiltà del passato, scritto nei libri sacri delle religioni. L’ospite è sacro, va accolto e onorato.

L’anima e la cetra/15 - Il Salmo 42-43 ci aiuta a pronunciare e urlare Dio nel tempo della siccità

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 05/07/2020

"L’invocazione dell’uomo è l’invocazione stessa di Dio. L’uomo prega a immagine e somiglianza di Dio: di chi, se no, in questa che è la più grande delle sue opere? I Salmi sono la preghiera di Dio".

Sergio Quinzio, Un commento alla Bibbia

La sete della cerva è la condizione ordinaria della vita spirituale adulta. L’aridità non è assenza, ma luogo della fede. Eppure non lo sappiamo, finché non accade un “incontro” straordinario…

La qualità spirituale della nostra vita dipende da come usciamo da pochi incontri decisivi. Uno di questi è quello tra il ragazzo che eravamo e l’adulto che siamo diventati. Un incontro che nello sviluppo di una esistenza arriva quasi sempre – dentro un libro che stiamo leggendo, in un sogno, mentre puliamo la stanza o apparecchiamo la tavola. Giunge sempre inatteso, non si fa mai annunciare, non è un incontro per bene, è un guado di un fiume tumultuoso. Ci prende di sorpresa e ci trova impreparati. È sempre un evento decisivo. L’incontro inizia con una domanda tremenda del ragazzo: "Chi sei?". Noi lo riconosciamo subito, perché in lui rivediamo quel volto bambino che non si è mai spento nell’anima. Lui no: per lui siamo uno sconosciuto, siamo troppo cambiati perché quel fanciullo possa riconoscersi in quell’adulto. Quel "chi sei?" risuona in noi come qualcosa di spaventoso, ci toglie il fiato. In quella domanda risentiamo l’eco di quella fatta da Elohim all’Adam ("dove sei?"), rivive la domanda a Caino ("dov’è tuo fratello?"). E noi ancora ci scopriamo nudi, ci vergogniamo, non riusciamo a rispondere né vogliamo farlo. Se abbiamo salvato qualcosa dell’innocenza dell’infanzia quella domanda può farci quasi morire. Poi in un attimo rivediamo tutta la nostra vita e ci nasce una infinita struggente nostalgia di purezza, di verità e di tutte quelle parole prime che sentiamo perse per sempre. 

Editoriali - La festa di San Giuseppe

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenireil 18/03/2024

San Giuseppe è molto amato dai cristiani. Per molte ragioni, non ultima la sua normalità: Giuseppe lo sentiamo veramente come noi, anche se sappiamo che in quella sua ordinarietà ha vissuto un’esperienza umano-divina straordinaria e unica.

ContrEconomia/3 - Ancora sull’ultimo tentativo che il mercato sta compiendo per resistere al vento della vanitas

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 19/03/2023

"Mi spaventa soprattutto la sofferenza che avanza nel mondo come un rullo compressore. Me ne importa poco della colpa, poco della giustizia, poco della verità, poco della bellezza: me ne importa della sofferenza."

Sergio Quinzio, Un tentativo di colmare l’abisso

L’uscita di scena del consulente alla fine del processo è parte della sua eccellenza. Nel libro di Daniele ci sono preziose indicazioni su come interpretare le visioni degli altri senza diventarne padroni.

Le crisi ambientali, finanziarie e militari di questo inizio di millennio rischiano di farci sottovalutare o dimenticare una non meno grave triplice crisi: della fede, delle grandi narrative e del generare. Un mondo che non attende più il paradiso, senza narrative collettive e senza figli, non trova più un sufficiente senso per vivere e quindi per lavorare. Perché dovrei lavorare se non spero più in una terra promessa (sopra o sotto il cielo), se non ho nessuno che attende dal mio lavoro un presente e futuro migliori? Il mondo del lavoro non ha mai creato né esaurito il senso del lavoro. Ieri erano la famiglia, le ideologie, la religione a dare al lavoro il suo primo senso. La fabbrica, i campi o l’ufficio rafforzavano quel senso che però nasceva fuori. Il lavoro è grande, ma per essere visto nella sua grandezza deve essere guardato da fuori, da una porta che si apre sull’esterno; senza questo spazio largo, la stanza del lavoro è troppo angusta, il suo tetto troppo basso perché quell’animale malato d’infinito che è l’homo sapiens possa restarci a lungo senza asfissiare. 

L’anima e la cetra/22 - Come Dio anche noi, almeno una volta, possiamo amare chi non lo merita

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenireil 30/08/2020

«I preti non possono accettare regali», disse don Paolo. La donna protestò: «Allora non vale», ella disse. «Se non accettate la gallina, la grazia non vale, e il bambino nascerà cieco». «La grazia è gratuita», disse don Paolo. «Le grazie gratuite non esistono», rispose la donna.

Ignazio Silone,Vino e pane

La Bibbia ci insegna a ringraziare, per la salvezza che riceviamo, tutta gratuità e non dataci per i nostri meriti. 

Gratitudine è una parola essenziale. È parola prima nella famiglia, nelle comunità, meno nelle imprese moderne, dove la gratitudine con le sue parole gemelle riconoscenza e ringraziamento non trova lo spazio che meriterebbe a causa della sua fragilità. Gratitudine – da gratiacharis – è molto imparentata con il "grazie", una parola che impariamo dai genitori da bambini e che poi non esce più dai nostri rapporti. Anche quei "grazie" che diciamo, più volte al giorno, per rispetto delle norme sociali, portano qualche traccia della gratitudine, che però si manifesta più pienamente in altri "grazie", quelli attesi e desiderati, non pretesi. Sono quelli decisivi nei rapporti più importanti, quelle gratitudini delicate, più femminili che maschili, più sussurrate che dette, che arrivano nei momenti cruciali della vita. Il grazie di quel collega nell’ultimo giorno di lavoro, uguale e diverso da tutti gli altri, scritto nel biglietto con il regalo di addio. Quello dello studente con più difficoltà, che nell’ultimo giorno di scuola ti lascia sulla cattedra un post-it: "Grazie prof"; o quello che nel giorno della partenza da casa, per seguire una voce, non siamo riusciti a dire ai genitori perché rimasto strozzato in gola, e che poi molti anni dopo abbiamo scoperto essere simile a quei grazie ineffabili che vengono sussurrati ogni giorno nei capezzali. 

Perché occorre cambiare molto per non perdere troppo

La comunità fragile 500Luigino Bruni

Città Nuova, Roma, Giugno 2022
Collana "I Prismi - I Semi"
ISBN: 9788831175685
Acquista su Città Nuova

Comunità è parola tornata centrale. Invocata nelle solitudini e nella malattia, cercata e agognata quando le “community” virtuali ci hanno sfinito e sentiamo il bisogno di respirare. I suoi legami caldi e forti ci chiamano e non ci lasciano in pace. La comunità sta però cambiando forme così rapidamente da non riconoscerla quasi più. Ecco perché qualsiasi futuro dell’esperienza spirituale e religiosa non può oggi fare a meno di ripartire da una profonda riflessione, onesta e radicale, sulla comunità, con il coraggio di spingerla fino alle sue estreme conseguenze. È quello che cerca di fare questo libro, che esplora la grammatica delle comunità, in particolare di quelle che nascono da carismi spirituali. L’autore suggerisce che nel XXI Secolo vivranno le comunità che sanno abitare sull’orlo del proprio precipizio. Perché una buona comunità carismatica nel XXI secolo può solo essere comunità fragile, che ogni mattina ringrazia i suoi membri di esserci ancora.

Nel ventre della parola/2 - La vocazione e le prove alle quali "non si può" sottostare

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenireil 25/02/2024

In queste ultime settimane si è verificato un cambiamento. Ma dove? Sono io che son cambiato? Se non sono io allora è questa camera, questa città, questa natura; bisogna scegliere. Sono io, credo, che son cambiato: è la soluzione più semplice
Jean-Paul Sartre, La Nausea

Non è raro che nella vita di chi ha ricevuto una vocazione autentica un giorno irrompa una parola diversa della stessa voce amica, che dice cose nuove e troppo lontane dalle parole buone conosciute fino a ieri. Alcuni continuano a svolgere la stessa vita di prima. Altri invece in quel giorno si bloccano, non capiscono perché non possono capire, sentono che sta per morire la parte più vera e bella della vita. E dicono ‘no’, disobbediscono alla voce vera per una strana fedeltà ad un’altra voce, altrettanto vera e profonda. Questa è stata, forse, la crisi di Giona. 

Profezia è storia/28 -Antica (e attuale) abitudine dei “padroni” è cambiare il nome ai sudditi

Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 15/12/2019

"Fra l’ultima parola detta e la prima nuova da dire è lì che abitiamo"

Pierluigi Cappello, Assetto di volo

La reciprocità dei patti è una cosa molto seria, che include anche le conseguenze della reciprocità spezzata. Il racconto della caduta di Gerusalemme ce lo ricorda con rara efficacia e bellezza.  

Non basta essere minoranza per essere minoranza profetica. Non è l’essere parte di un resto di superstiti a fare il resto della Bibbia. Nella conquista babilonese, alcuni ebrei furono deportati e altri restarono in patria. In ciascuna di queste due comunità – quella in esilio e quella in patria – c’era chi si auto-attribuiva lo status di "resto" annunciato da Isaia. Ezechiele e Geremia ci parlano, in pagine bellissime, di questi "conflitti tra resti", delle polemiche tra i figli per l’eredità ideale dei padri. Le crisi, soprattutto quelle grandi e decisive, generano molti "resti", vari gruppi che pretendono di essere i veri custodi del primo patto, i garanti della prima alleanza, gli eredi del primo testamento. In questi conflitti identitari è probabile che ogni gruppo possieda alcuni elementi autentici del vero "resto"; ma non appena una minoranza inizia a rivendicare la primogenitura contro gli altri gruppi, i semi buoni cominciano a guastarsi. 

Una relectura del libro de Job

ladesventuradeunhombrejustoLuigino Bruni

Editorial Ciudad Nueva, Septiembre 2017
Colección "Biblia y temas de hoy"

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Job: una persona justa, íntegra y recta a la que, en la plenitud de su felicidad, le sobreviene una gran desventura que no tiene explicación. Hoy, como en tiempos de Job, se sigue buscando un motivo para la desventura; cuesta pensar que a un hombre o una mujer les pueda sobrevenir la ruina sin tener ninguna culpa.

Stella dell’assenza/2 - La forza dell’obiezione della regina Vasti a ridursi a gloria del suo re e sposo.

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 27/11/2022

“Il re allora ordinò a questi sette principi di far venire la regina Vasti nuda. La corona della regalità era suo capo per i meriti di suo padre Nabucodonosor che aveva rivestito Daniele di porpora”.

Targum di Ester, I

Nel libro di Ester incontriamo presto un’altra storia biblica di donne che ci aiuta anche a riflettere sui tanti, coraggiosi e necessari “no” che le donne di oggi sanno dire.

Ai potenti veri la ricchezza non basta. Hanno bisogno che la ricchezza sia vista, lodata, invidiata, e quindi deve essere eccessiva, dissipata, sprecata in cose inutili. Perché, in realtà, per loro essere ricchi e potenti è troppo poco: vogliono essere dio, esseri divini e così adorati e venerati dai sudditi. Il vitello d’oro della Bibbia non è solo icona dell’oggetto idolatrico; è anche immagine del soggetto idolatrico, di chi una volta conquistati tutti i beni avverte invincibile il desiderio del bene finale, perché escluso ai mortali in quanto prerogativa degli dèi. E così tenta questo ultimo folle volo, ma qualche volta è fermato da qualcuno che durante il tragitto tra la terra di ieri e il cielo di domani riesce a dire: “no”. 

La "distruzione creatrice" è il libro del mese di dicembre della casa editrice Città Nuova

pubblicato su Città Nuova il 7/12/2015

La distruzione creatrice 250Quando a fine 2014 nacque l’idea di proporre nelle pagine che «Avvenire» attribuisce alle “idee” una serie di articoli sulla grande crisi, quella serie che poi avrem­mo deciso di dedicare a «La grande transizione», crede­vo di avere piuttosto chiaro che cosa c’era nella testa e nell’animo di Luigino Bruni. Ed ero ovviamente certo di aver capito tutto l’essenziale di che cosa ne sarebbe venuto fuori: quale itinerario dentro il nostro tempo e il nostro operare insieme, quale messaggio in chiave di umanizzazione dell’economia, quale scomoda presa d’atto di una realtà da (ri)convertire, cioè – pensate un po’ – da rivoluzionare per amore e d’amore.

L'esilio e la promessa/5 - Mestiere del profeta è pure la "seconda preghiera"

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 09/12/2018

Ezechiele 05 rid«La maldicenza uccide tre persone: colui che la diffonde, colui che l’ascolta e colui di cui si parla; ma chi l’ascolta ancor più di colui che la diffonde»

Mosé Maimonide, Norme di vita morale

Le religioni e le fedi sono anche luoghi di soddisfazione dei bisogni umani, perché nessuna religione ha trascurato la dimensione materiale e corporea della vita. Pesci, pane, manna, quaglie, acqua, focacce, schiacciate d’uva: la Bibbia potrebbe anche essere letta come una storia del cibo, della convivialità, dei beni. La terra promessa è una terra dove scorrono latte e miele. Ma anche per questa loro dimensione concreta e intera, le fedi hanno una tendenza intrinseca a rimpicciolirsi e ridursi a un mercato dove ogni bene domandato incontra la sua offerta pagando il relativo prezzo, trasformandosi così in idolatrie o magie. La preghiera autentica può vivere e crescere solo dentro un incontro di gratuità. La provvidenza non si compra, arriva come eccedenza sopra il nostro piccolo registro contrattuale. Il Dio biblico è il Dio del Patto, dove il vero bene offerto è una prossimità, una presenza. Come nelle comunità, che soddisfano bisogni essenziali (la sicurezza affettiva, il calore, anche bisogni concreti ed economici) se ciascuno sa attingere a una interiorità più profonda dei bisogni, dove si genera la parte più intima e bella delle comunità. I profeti sono gelosi custodi di questa bellezza più grande, che sa convivere con una indigenza che nutre il sogno e il bisogno di Dio.

Un economista commenta il libro di Rut

La fedeltà e il riscatto 500Luigino Bruni

Qiqajon,
Collana Sequela oggi
Bose, maggio 2023
ISBN: 9788882276171
acquista su Edizioni Qiqajon

Un piccolo libro della Bibbia, una storia familiare, un brano della storia di Israele e, prima ancora, una storia di donne: questo è il libro di Rut. Un elogio della pratica della bontà, di una prassi di umanità improntata a rispetto e riconoscimento dell’altro, caratterizzata da attenzione, sensibilità e delicatezza, ma anche da giustizia, obbedienza alle leggi reinterpretate in modo creativo e inedito dalle donne, osservanza dei comandamenti finalizzati alla pienezza della vita.

Rut è un testo che contiene molteplici messaggi: etici, sociali, economici e religiosi. L’economia del libro di Rut è quella di chi vede prima di tutto le donne e gli uomini, e in essi la prima ricchezza, considerando i beni una benedizione solo nella relazione. Come sarebbero state le leggi, l’economia, la scienza del management se le avessero scritte le donne, se fossero state le Rut a pensarle e a insegnarle? Certamente diverse, forse molto diverse.

Note a margine del nostro capitalismo

La felicita e troppo poco 450Luigino Bruni

Pacini Editore, Firenze, 2017
Collana: Tracciati
Acquista su Pacini Editore

“La felicità è troppo poco” può essere considerato una serie di note a piè di pagina al “libro” che sta scrivendo il capitalismo del nostro tempo. Note tratte da un ampio lavoro di riflessione qui offerto con uno stile accessibile a un vasto pubblico e rivolte in particolare a chi vuole approfondire il processo di evoluzione e i radicali cambiamenti subiti dalla nostra società, oggi profondamente diversa rispetto a quella capitalista del XX secolo.

Economia e relazioni umane. Nuova edizione

La ferita dell altro Marietti1820 500Luigino Bruni

Marietti 1820, Bologna, Agosto 2020
Collana "1107 Le Giraffe"
ISBN: 9788821113109
Acquista su Marietti 1820

Questo saggio, divenuto ormai un classico dell’economia civile, suggerisce un percorso all’interno della modernità con l’intento di esplicitare le premesse antropologiche e culturali su cui si fondano l’economia contemporanea e le sue promesse.

A 10 anni dalla sua prima uscita per  Il Margine, una nuova  edizione del libro che ha messo insieme  “ferite” e “benedizioni”: abbiamo intervistato l’autore

La ferita dellaltro new edition rid 250Luigino Bruni, perché una nuova edizione de "La ferita dell’altro"?

Per motivi soggettivi e oggettivi: dal punto di vista soggettivo, è un libro a cui sono molto affezionato perché rappresenta un  momento di svolta nella mia attività di studioso (è stato il primo dialogo fra economia e Bibbia). Oltre a questo, il libro ha generato l’Ethos del mercato e poi Il mercato e il dono dove ho continuato il discorso sui  fondamenti religiosi del capitalismo del nostro tempo. Dal punto di vista oggettivo poi  il libro, già ristampato negli anni 6 volte, era nuovamente esaurito: con Il Margine abbiamo deciso di ristamparlo ancora ma in una edizione rivista. 

Radici di futuro/11 - Due mondi sbagliati: il Paese dei balocchi e l’Isola delle api industriose.

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 13/11/2022

"Il fanciullo è un artista, è un innamorato della vita. E guai a mormorare con gli innamorati contro l’oggetto del loro amore, guai a mostrare gli aspetti men belli e più crudeli."

Vincenzina Battistelli, La moderna letteratura per l’infanzia, 1925

Termina la riflessione su Pinocchio, e termina questa serie di articoli. Con una rivelazione sul fatto che non basta un villaggio per crescere un bambino: ci vuole tutto l’universo. E con un gran discorso sul lavoro dei ragazzi e sulla reciprocità.

Uno dei molti doni esclusivi dell’infanzia e della fanciullezza è una relazionalità più vasta della nostra. I bambini, le bambine e i ragazzi sono capaci di dialogare con gli insetti, gli uccelli, gli alberi. È come se nel fagotto con cui arrivano sulla terra ci fossero anche uno sguardo e un udito diversi e più profondi per vedere cose e comprendere linguaggi che poi svaniscono una volta divenuti grandi. Sono forse i suoni e le parole dell’Adam prima di Caino, voci e immagini di quella terra promessa che abbiamo intravista da piccoli, che poi abbiamo dimenticato, ma che in qualche notte sogniamo ancora - e il sogno ci piace molto. Sta qui la radice della vera reciprocità tra adulti e ragazzi. Loro hanno qualcosa in meno di noi, ma hanno anche qualcosa in più, che se riusciamo a riconoscere ci protegge dal paternalismo sbagliato e crea uno degli spettacoli più belli sotto il sole: la fraternità genuina tra grandi e piccini. Francesco d’Assisi è stato capace di sentire questa fraternità con tutte le creature viventi perché, per un amore folle al Vangelo, era riuscito per grazia a tornare bambino. Gli amici di Francesco amano molto Pinocchio, perché in lui rivedono qualcosa del “giullare di Dio”, di quella libertà che solo i fanciulli (naturali o evangelici) possiedono. 

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