Filosofia - Dopo il volume dedicato alla Parola ora lo psicanalista e filosofo riflette sulle radici bibliche ed evangeliche della psicanalisi trattando temi come il sacrificio e la risurrezione
di Luigino Bruni
pubblicato su Agorà di Avvenire il 26/09/2024
Chi conosce, ama e frequenta le comunità spirituali e religiose, sa o intuisce che alla base della vasta e profonda crisi che le attraversa c’è una crisi di desiderio. Una carestia del desiderio e di cose da desiderare, che si ritrova soprattutto nelle persone più generose e con autentiche vocazioni. Siamo tutti in attesa di una resurrezione dei desideri.
In questa attesa, molto utile è la lettura di La legge del desiderio. Radici bibliche della psicoanalisi (Einaudi) dello psicoanalista e filosofo Massimo Recalcati. Il desiderio, pilastro della psicoanalisi, è il centro anche della riflessione personale di Recalcati, costruita attorno ad una intuizione, la cui origina si trova in Lacan, che la nota tipica del desiderio è desiderare qualcuno che a sua volta ci desidera, perché l’essenza e la vocazione del nostro desiderio è essere desiderati da un altro desiderio. Si comprende allora perché la fondazione biblica è particolarmente attraente per Recalcati, perché la fede cristiana è un incontro gratuito di desideri, nostri e di Dio.
La fondazione biblica della psicoanalisi di Massimo Recalcati è tra le operazioni intellettuali più interessanti di attualizzazione dell’eredità biblica nella modernità; e sebbene Recalcati si collochi, esplicitamente, sulla linea di Lacan (e di Freud), il suo contributo è molto più di un semplice sviluppo di tesi precedenti. Nel 2022 aveva pubblicato La legge della Parola, sull’Antico Testamento, e ora con questo secondo volume il suo lavoro si conclude, o dovrebbe concludersi secondo l’autore (p. xi). Credo e mi auguro invece che lo continui, perché i nodi non sciolti e le potenzialità sono ancora molti, e tra questi il nesso tra grazia, etica del desiderio ed etica della responsabilità, presente ma poco sviluppato nel libro: “Il dono della grazia non esonera affatto dalla responsabilità soggettiva, ma, al contrario, l’accentua” (p. 412).
L’idea del libro è bene espressa nel primo capitolo, che ne è anche una sintesi, talmente efficace da generare inevitabilmente molte, forse troppe, ripetizioni nel corso del volume (di 482 pagine). In realtà, la tesi la troviamo già nella breve Introduzione: “Gli uomini religiosi non sanno cosa significa spendere tutta la propria vita nell'amore, non sanno cosa significa desiderare e amare la vita. Il loro risentimento li avvelena, la loro impotenza li intossica, la loro tristezza li inaridisce… La loro ipocrisia cinica non permette di avere fede del miracolo del desiderio” (p. v). E quindi, “la Legge non può limitarsi a interdire il desiderio perché il vero volto della Legge coincide proprio con quello del desiderio. È questo a impegnare Gesù sino alla fine dei suoi giorni: testimoniare che la Legge non è avversa al desiderio…, perché la Legge è, in realtà, il nome più proprio del desiderio, è il nome più proprio della vita viva” (p. vii).
La tensione, o meglio l’alternativa tra Legge e desiderio, è il centro teorico del libro, che nella sua ultima parte da duale diventa ternario con l’inserimento della dimensione (paolina) della grazia che fa sì che la Legge lungi dall’opporsi al desiderio ne diventi la sua possibilità concreta e buona. Il buon desiderio è quello che, alla luce del mito di Adamo ed Eva nella Genesi, desidera il “Godimento ‘di tutto’ a condizione però che venga esclusa la possibilità di godere del ‘tutto’” (p. 75). Perché la condizione umana pur potendo e dovendo desiderare ‘tutto’ (‘tutto è vostro’) non può desiderare ‘il tutto’ (‘e voi siete di Dio’) - da qui il senso buono del limite posto da Elohim su un solo albero del giardino.
Il senso con cui Recalcati parla di Legge è, di fatto, quello della lettera di Paolo ai Romani, che, non a caso, è forse il testo più citato nel volume, e alla quale è dedicato l’ottimo ultimo capitolo. Lo è in un duplice significato: come Legge nemica e assassina del desiderio e dello spirito, cioè come ‘maledizione della Legge’ (Gal 3,13), e come Legge nuova portata da Gesù, quella Legge dell’agape che è la levatrice del desiderio: “Fintanto che l'umano resta all'interno della dialettica perversa tra Legge e desiderio non c'è salvezza. Il circolo è vizioso: l'esistenza della Legge provoca il peccato che infrange compulsivamente la Legge” (p. 386). Già nel primo capitolo questi concetti sono ben espressi e fondati nel Nuovo Testamento: dai discorsi di Gesù ai discepoli alle polemiche coi sacerdoti, dai miracoli alle parabole, per finire con la morte e resurrezione del Cristo - un Cristo che Recalcati chiama sempre ‘Gesù’, e ci piace.
Recalcati vuole dimostrare che il desiderio è il centro dell’insegnamento spirituale ed etico di Gesù: il desiderio, infatti, “si configura come la forma più radicale del dovere e, di conseguenza, la Legge non può, a sua volta, che affermarsi come una Legge del desiderio della quale Gesù si fa testimone, e non più come una Legge contro il desiderio… Di conseguenza la vita che si perde, la vita smarrita, la vita emarginata, la vita che si sottrae alla vita, non è più la vita che non obbedisce alla Legge - la vita che, trasgredendo la Legge, si perde nel peccato - ma quella che avendo paura della vita vive non tanto senza Legge ma senza desiderio” (pp. 9-10). Nel libro torna anche il grande tema del Sacrificio, che è un’altra colonna portante dell’edificio di Recalcati, perché sacrificio, Legge e desiderio sono aspetti profondamente intrecciati: "La Legge viene innanzitutto emancipata dal culto del sacrificio. Anche questo è un tema ricorrente nella predicazione di Gesù: non è la vita che deve sottomettersi sacrificalmente al potere della Legge, ma è il potere della Legge che deve servire la vita” (p. 10). Non è infatti difficile rintracciare in Gesù, sulla scia dei profeti (Isaia, Osea) una chiara presa di posizione contro la logica del sacrificio in nome dell’agape e della misericordia.
Una digressione. C’è un conflitto, un’alternativa, un "fossato" (J. Jeremias) tra la fede di Cristo e quella del tempio, cioè tra la fede fondata sull’hesed e quella fondata sui sacrifici, tra la civiltà della gratuità e la civiltà del calcolo, tra la religione dell’amore e quella commerciale. Amore e sacrifici: due strade religiose diverse, opposte, incompatibili, come rivela anche il verbo ebraico usato da Osea (hps), che dice chiaramente che Dio ama, gradisce, vuole, apprezza l’hesed e non vuole, non ama, non gradisce i sacrifici, gli danno fastidio. Noi possiamo, con coraggio, arrivare a dire: "I sacrifici sono meno importanti dell’amore, ma un po’ di culto ci vuole pure, qualche offerta al tempio non fa male a nessuno, il popolo ama queste pratiche". I profeti veri e grandi no. Loro ci dicono altro, ci dicono l’opposto. Sono tremendi e radicali, squilibrati, partigiani, divisivi, non gentili, esagerati, eccessivi. Come Gesù di Nazareth, che ci spiega Osea, mostrandoci che l’alternativa-fossato-conflitto tra amore e sacrificio non si limita alla sola vita religiosa ma si estende all’intera vita sociale. Non solo ci ripete, con Osea, che la sua religione non è quella dei sacrifici, ma quella dell’amore-hesed-agape; ci dice anche che la cultura del sacrificio è un rapporto sbagliato con la vita, non solo con Dio. Perché è la relazionalità basata sul calcolo e non sulla generosità, sull’economico e non sull’eccedenza. La logica del sacrificio è prima una trappola antropologica e dopo una questione teologica e religiosa. È la logica di chi vive facendo conti, calcolando i costi e benefici di ogni azione, perché, in fondo, è ateo, non crede che siamo amati, che nel mondo esiste un grande candore, che siamo figli. La fede sacrificale imprigiona Dio in una gabbia più angusta di quella dell’uomo più tirchio. Chi imposta la vita sui sacrifici crede nella meritocrazia perché non crede nella grazia, non si fida della grande provvidenza del mondo e quindi si compra una piccola provvidenza privata che non lo sazia mai. I profeti lottano con tutte le loro forze contro i sacrifici per dirci: voi valete di più delle vostre opere, siete più grandi dei vostri calcoli, siete migliori dei vostri contratti, siete amati anche se non lo meritate: perché ti amo e basta, non per i tuoi meriti, ti amo per te. Combattere la religione dei sacrifici allora significa rinunciare ad una visione del mondo meschina, impoverita, avara. I profeti e Gesù allargando la nostra idea di Dio allargano l’idea che noi abbiamo degli altri e di noi stessi.
Torniamo a Recalcati. Indagando il trittico Legge-Sacrificio-Desiderio, Recalcati entra all’interno di prassi e tradizioni molto importanti nella vita cristiana, mettendone (delicatamente ma efficacemente) in discussione il senso primo: “Verginità, interdizione e repressione della sessualità, pratiche ascetiche, digiuno, celibato, non sono precetti che egli si preoccupa di imporre a chi lo segue. Il percorso di auto-sacrificio come percorso di santificazione non trova nella sua predicazione nessun avallo.… Egli vuole liberare l'uomo da un'idea di Padre come colui che il figlio deve temere perché il suo disegno repressivamente normativo è quello di impedirne la libertà” (pp. 16-17). E quindi può affermare che “il salvato è ogni volta colui che non ha ceduto di fronte alla Legge del proprio desiderio, che è stato in grado di mantenersi conforme a questa Legge” (p. 34). Perché “la Legge che percuote la vita sanzionando implacabilmente l'offesa, il reato, il peccato annienta il desiderio interpretandolo solo come una minaccia per la Legge stessa. È questo il funzionamento basilare del Super-io messo in luce da Freud: una Legge che rimprovera costantemente il desiderio per la sua stessa esistenza con una ‘straordinaria durezza e severità’ poiché lo identifica a una colpa inemendabile” (p. 61). Quindi enuncia le due malattie del desiderio quando sbaglia il rapporto con la Legge (e con la grazia), l’impotenza e l’utopia: “L'impotenza è l'indice di una vita contratta che rinuncia alla vita perché si sente schiacciata dalla paura della vita. I Vangeli sono pieni di riferimenti a questa malattia che coinvolge tra gli altri anche gli stessi discepoli di Gesù… Difendere la propria esistenza dalla vita interpretata come una minaccia significa non cogliere il dono della creazione” (pp. 36-37). La patologia dell’utopia è invece quella che “nella predicazione di Gesù assume la forma essenziale della fede nel regno come qualcosa che dovrebbe risarcire la vita delle sue miserie e dei suoi dolori in un tempo sempre a venire, in un mondo trascendente situato al di là di questo mondo… La critica alla malattia dell'utopia si esplica chiaramente nell'ira con la quale Gesù fulmina il fico sterile, in Matteo 21,18-22” (pp. 46-48).
La malattia dell’impotenza, cioè di un desiderio sacrificato alla paura di affrontare il rischio della vita vera, è individuata da Recalcati nel ‘terzo servo’ della Parabola dei Talenti di Matteo, offrendoci una delle letture più originali e convincenti di questo difficile testo. Nella parabola dei talenti la malattia dell'impotenza e il dinamismo della pulsione securitaria sono messe a nudo: “Il terzo servo resta afflitto dall’impotenza… E’ ‘stato preso dalla paura’. Ma da quale paura? Innanzitutto dalla paura di perdere il solo talento che aveva ricevuto. Per questa ragione si sente spinto a conservarlo seppellendolo sotto terra. Manca in lui la fede nella forza del desiderio come facoltà di moltiplicazione della vita, di estensione, di allargamento del suo orizzonte. Per paura di perdere la sua vita il servo assume un atteggiamento conservatore, inibito, ritentivo che gli costerà la perdita di tutto ciò che ha… Per Gesù è questo il solo vero peccato capitale che si possa commettere: rendere la propria vita sterile, non generare, non desiderare, seppellire il proprio talento. Si tratta di un vero e proprio tradimento. Il soggetto tradisce la Legge del suo desiderio, volta le spalle alla sua vocazione” (p. 40). E così può aggiungere: “La vita capace di generare i frutti è vita desiderante; la vita sterile, è la vita che ha invece sottomesso la vita stessa alle malattie dell'impotenza o dell’utopia” (p. 49). Una patologia associata al rapporto sbagliato con il desiderio è quella che, con Freud, Recalcati chiama masochismo morale, il bisogno di auto-punizione per scontare ipotetiche colpe: “Il masochista vuole essere trattato come un ‘povero bambino piccolo e inerme’ che cerca riparo offrendosi come un oggetto passivo nelle mani onnipotenti dell’Altro” (p. 131).
Uno scoglio naturale di una lettura del vangelo come Legge del desiderio poteva essere la croce, la passione e morte di Gesù, che Recalcati così schiva: “La condizione della croce non coincide con la rinuncia al proprio desiderio, ma ai prestigi del proprio Io, alla sua immagine narcisistica. La rinuncia a cui Gesù invita non concerne affatto il desiderio quanto piuttosto l'Io come ostacolo al desiderio” (p. 129). Infatti, “Gesù crocifisso non è affatto il simbolo del carattere necessario e masochista del sacrificio, ma quello del suo definitivo abbandono” (p. 137). E la croce “non è il simbolo del sacrificio, ma ciò che mette a morte il sacrificio, è ciò che rende per sempre vano il sacrificio” (p. 138). Perché “nella sua passione non c’è alcuna traccia di un’immolazione sacrificale” (p. 304). Dovremmo anche aggiungere che, nella prospettiva paolina, chi è nel peccato lo è in virtù di una logica sbagliata che gli fa apparire come peccato ciò che è solo il frutto di un rapporto sbagliato con la Legge - nel peccato ci mettiamo da soli, Dio non c’entra.
I miracoli di Gesù sono letti come incontri di un maestro errante, che annuncia un inatteso di gratuità, nel quale invita le persone ad entrare. E scrive, citando Lacan, che “si tratta di guarire il soggetto delle illusioni che lo trattengono sulla via del suo desiderio” (p. 150). Il miracolo è l’annuncio di una sorpresa vera, e può far iniziare una nuova vita se si riesce ad essere fedele a questa novità - la vera fedeltà è all’inatteso. Da qui la domanda di Gesù al paralitico di Betzeda: tu vuoi guarire? (Gv 5,6): “Vuoi davvero rinunciare alle catene protettive dell'impotenza, alla sicurezza che ti garantisce restare nell'attesa passiva di una guarigione? (p. 192). Guarire significa allora superare il ‘tornaconto della malattia’ (Freud), di ogni malattia, fisica e morale.
Anche l’amore per i bambini di Gesù viene letto da Recalcati in questa prospettiva desiderante: “I bambini che vanno verso Gesù, vanno, in realtà, verso il fuoco del loro desiderio. Ogni bambino non appartiene a nessuno se non alla legge del proprio desiderio” (p. 186).
Molto bella, forse la parte più convincente di un libro già molto convincente, è la lettura della Resurrezione, che dal capitolo 9 si conclude con il 10 su San Paolo. Letta dalla prospettiva della Legge del desiderio, la resurrezione ha anche un grande significato antropologico, contiene cioè un messaggio di salvezza universale, ed è davvero bello. Recalcati la guarda a partire dalla stupenda categoria biblica del ‘resto’: il primo resto indistruttibile che tornerà dall’esilio è ciò che continua a vivere dopo la morte, grazie ad una resurrezione: “Il vuoto del sepolcro ci costringe a cercare Gesù tra i vivi e non tra i morti. E’ questa un'altra lezione fondamentale della Pasqua cristiana: esiste sempre un resto indistruttibile e eternamente vivente in ogni morte. Sempre qualcosa di chi non è più con noi, resta con noi”. Una Lezione fondamentale che si completa in “un'altra altrettanto decisiva: come si può restare fedeli all'evento che ha cambiato la nostra vita? Come si può non lasciarlo morire? … Accade per ciascuno di noi: sono stato fedele all'incontro che ha cambiato la mia vita? L'incontro con un amore, con un maestro, con un ideale, con una vocazione? Ho vissuto coerentemente quell'incontro assumendomene pienamente il rischio? Oppure l’ho tradito, gli ho voltato le spalle e l’ho ripudiato?". Quindi conclude: “Più che un episodio sovrannaturale - la rianimazione di un morto - la resurrezione resta un evento impensabile che rompe la nostra rappresentazione ordinaria della vita e della morte” (p. 341).
Da qui la sua riflessione sulla Maddalena e il noli me tangere (che in parte riprende da J.L. Nancy), che spiega in rapporto alla fede di Tommaso che invece vuole ‘toccare’: “La fede non può ridursi ad una verifica empirica della verità, ma consiste nella risposta alla chiamata del desiderio incarnata da Gesù, nell'accoglienza della sua grazia… Perché implica un vero e proprio salto nel vuoto, una fiducia nell'incontro con la grazia. È quello che mostra Abramo” (p. 360).
Alcune note a pie’ di pagine su (pochi) aspetti più problematici, che scrivo in un spirito positivo nei confronti di un progetto che seguo con interesse e ammirazione.
Nel capitolo dedicato a Maria, non il più riuscito anche perché vi è una lettura dei primi due capitoli di Luca non abbastanza teologica e metaforica che lo porta a scrivere che Maria “sapeva benissimo che essendo Gesù il figlio di Dio…” (p. 221). Maria non sapeva ‘benissimo' cosa fosse quel suo figlio, e probabilmente non lo sapeva affatto; altrimenti diventa difficile spiegare la fonte evangelica più antica su Maria, quando con i fratelli si reca da Gesù per riportarlo a casa perché pensava che fosse “fuori di senno” (Marco 3). Un altro uso improprio del vangelo lo troviamo quando afferma che la donna che versa l’olio profumato sul capo di Gesù fosse “la Maddalena” (p. 31), che non ha nessuna base nei vangeli (anzi dai vangeli sappiamo che non era la Maddalena). Anche la lettura del tradimento di Giuda, in sé interessante e suggestiva (Giuda tradisce perché a sua volta tradito da Gesù), poggia su una ipotesi - che Giuda credesse in un messianismo politico - che non trova fondamento nei vangeli: “E Gesù, agli occhi di Giuda, non è innanzitutto colui che ha tradito la promessa della liberazione politica della Palestina dal dominio romano?” (p. 266). La seria fondazione biblica della psicanalisi che sta operando Recalcati non ha bisogno di queste affermazioni che l’esegesi ha da tempo superato. Infine, da una parte Recalcati critica molto (e ci piace) la metafora economico-finanziaria applicata al Cristianesimo, ma dall’altra usa, sulla scia dei suoi maestri, spesso parole come “debito simbolico" verso il padre (p. 238), etc., che non aiutano per una vera fuoriuscita da quel pericoloso registro retributivo.
Concludo con le parole, delicate e commoventi, che troviamo in apertura del libro, nei ringraziamenti: “Ringrazio, infine, la mano di Gesù che da bambino sentivo sopra la mia testa”.