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Per l'Economia di Comunione trent'anni di stile oltre il metodo

Colloquio con Bruni. Per il coordinatore della Commissione internazionale di EdC, Luigino Bruni, l’esperienza avviata nel 1991 da Chiara Lubich è soprattutto «un ambiente generativo, che accoglie semi diversi»

di Alessandro Zaccuri

pubblicato su Avvenire il 05/06/2021

Da un lato si stenta a credere che siano già passati trent’anni, dall’altro pare impossibile che in soli trent’anni l’Economia di Comunione si sia tanto diffusa. «È un’esperienza difficile da valutare secondo i parametri tradizionali – ammette Luigino Bruni, che tra i numerosi incarichi ricopre anche quello di coordinatore della Commissione internazionale di Economia di Comunione –. Anche se poi, quando si prova a misurarli, i risultati sono tutt’altro che trascurabili: circa 50 milioni di euro di flusso finanziario, più di 10mila borse di studio destinate ai ragazzi dei Paesi più poveri… Lo sa, per esempio, che la presidente delle realtà di EdC in Brasile, Maria Helena Faller, da bambina ha cominciato a frequentare la scuola grazie ai nostri progetti? Adesso è avvocata e fa in modo che la sua esperienza vada a beneficio di altri. L’EdC è anzitutto questo: un ambiente generativo, un campo che accoglie tanti semi diversi e li fa germogliare'».

Proprio in Brasile, del resto, è cominciato tutto. La data di nascita ufficiale (celebrata la scorsa settimana con una festa a Loppiano, la cittadella dei Focolari in provincia di Firenze) è quella del 29 maggio 1991. In visita a San Paolo, Chiara Lubich resta colpita dalle diseguaglianze che dolorosamente si impongono a colpo d’occhio e comincia a interrogarsi sulla possibilità di una diversa forma di economia, improntata al principio di unità caratteristico della spiritualità dei Focolari. «La comunione diventa comunione degli utili, una ricchezza che viene immediata condivisa e reinvestita», sintetizza Bruni, al quale si deve la prima sistemazione teorica della EdC.

La svolta porta, di nuovo, in Brasile. «Dove ancora oggi il movimento esprime la maggior vitalità – sottolinea lo studioso –. Non che altrove l’EdC sia meno vitale, ma di sicuro qui sono moltissimi i giovani coinvolti, l’entusiasmo resta palpabile. Di tutto questo si era resa già conto Chiara Lubich nel 1998, quando era tornata a visitare il Brasile e aveva avuto modo di apprezzare la fioritura della EdC. Nello stesso tempo, aveva intuito che perché il processo attecchisse occorreva dare dignità scientifica alla EdC, così da consolidare e rendere replicabile il modello».

Bruni entra in scena a questo punto, su indicazione del teologo Piero Coda. «Stavo completando il dottorato nel Regno Unito – ricorda –, Chiara mi chiamò al telefono e io accettai subito. Per me e per le altre persone che hanno contribuito alla definizione concettuale della EdC, primo fra tutti Stefano Zamagni, quello è stato un periodo di straordinaria creatività. Si trattava di rimettere in circolazione parole che erano ormai diventate estranee al gergo dell’economia: gratuità, reciprocità, dono. L’obiettivo era di allargare il più possibile il campo d’azione della EdC, evitando l’equivoco di un’iniziativa ristretta al solo mondo cattolico. Ne sono derivati l’impegno nella formazione, la fondazione della Scuola di Economia Civile, la collaborazione con Leonardo Becchetti e altri rappresentanti delle cosiddette economie non convenzionali e, infine, l’impegno per la realizzazione di The Economy of Francesco, un evento nel quale la voce della EdC si è avvertita con particolare chiarezza».

In questi trent’anni, insomma, l’EdC ha rispettato il mandato datole da Chiara Lubich: «Ci chiedeva di andare oltre noi stessi – dice Bruni – e ci siamo riusciti. Ma siamo anche rimasti fedeli al carisma dei Focolari, che è un carisma esplicitamente mariano e intensamente femminile. Fondamentali, in questa prospettiva, sono la ricerca del dialogo e la tensione verso la radicalità, dalle quali si sviluppa un dinamismo estremamente complesso e, ripeto, naturalmente generativo. Lo stesso rischio di un ricorso strumentale ad alcuni elementi della EdC è sventato all’origine dalla presenza di standard etici e qualitativi nei quali rientra sempre la disponibilità ad ascoltare e comprendere le ragioni dell’altro. Un’attitudine, questa, che si può magari trovare nell’ambito delle cooperative, ma che è assai più rara nei contesti aziendali. L’EdC invita all’accoglienza e alla mescolanza. Mi piace pensarla come un vino da taglio, da dosare con saggezza per ottenere un gusto più pieno. Prima ancora di essere un metodo, è uno stile».

La crisi che sta accompagnando l’uscita dalla pandemia rende ancora più attuali i temi e gli obiettivi della EdC: «Tutti noi siamo stati travolti dalla medesima tempesta – afferma Bruni – e diversi dei nostri imprenditori si sono ammalati, spesso gravemente. Adesso, però, ci accorgiamo di quanto determinanti siano stati gli investimenti fatti in passato in termini di fiducia, condivisione, comunità. Le imprese che si erano mosse in questa direzione stanno reagendo con maggior prontezza. L’etica, ormai lo sappiamo, è una sorta di assicurazione, la cui importanza si apprezza nei momenti di difficoltà. E poi c’è un altro vantaggio, forse il principale ». Non si fa in tempo a chiedergli quale che Bruni sta già rispondendo, con un sorriso: «Nell’EdC gli imprenditori non sono mai lasciati soli».

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