Profezia è storia

Profezia e storia/5 - Decadiamo quando la casa del potere si fa più grande del luogo di Dio

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 30/06/2019

«La prima parola pronunciata da Dio sul Sinai fu Anoki: "Sono Io". In questo caso l’Eterno non usò l’ebraico bensì la lingua egizia: come quel re si rivolse al figlio che tornava a casa dopo un lungo periodo trascorso in mare, parlandogli nella lingua da questi appresa in terra straniera, così l’Eterno scelse l’idioma che Israele parlava a quell’epoca.»

Louis Ginzberg, Le leggende degli ebrei

L’inizio della costruzione del tempio di Salomone contiene preziosi elementi per capire il significato di quella grande opera e delle nostre. E ci dice in cosa consista l’itinerario di ogni vita buona.

Il racconto della costruzione del tempio di Salomone è il centro narrativo e teologico dei Libri dei Re e dell’intera storia sapienziale che dalla Genesi arriva fino alla distruzione di Gerusalemme e all’esilio. Dobbiamo leggere queste pagine sapendo che stiamo entrando in un terreno diverso e sacro, e quindi toglierci i calzari dai piedi se vogliamo riconoscere la voce di questo roveto. Il racconto narra fatti svoltisi circa cinque secoli prima di quando fu composto il testo. Chi lo ha scritto viveva durante l’esilio in Babilonia. Il tempio che aveva visto era dunque quello appena distrutto e incendiato da Nabucodonosor. Gli ori, quelli fusi dal fuoco o quelli degli arredi spezzati dai babilonesi e trasportati nei loro templi. Di tutta quella bellezza che tra poco leggeremo non era rimasta pietra su pietra.

Profezia è storia/16 - Una seconda domanda, a volte, porta alla risposta giusta e inascoltata

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 22/09/2019

«Il nome di Elia da angelo è Sandalfon, tra i più grandi e terribili di tutta la schiera, con il compito di intrecciare per il Signore delle corone con le preghiere, e di offrire sacrifici al santuario invisibile, dato che il Tempio è stato distrutto solo all’apparenza, ma continua a esistere.»

Louis Ginzberg,Le leggende degli ebrei, VI

La distinzione tra vera e falsa profezia attraversa tutta la Bibbia. Questo Racconto aggiungi nuovi elementi alla comprensione dei profeti e della loro funzione, ieri e oggi.

La profezia biblica, sebbene unica, ci offre un paradigma per comprendere meglio alcuni fenomeni decisivi nelle nostre società e comunità. Cambiano le forme, i modi, le parole, ma ancora oggi ci sono profeti falsi, e sono legioni; profeti veri che in buona fede dicono sciocchezze, altri onesti che dicono spesso parole vere ma non sempre. E soprattutto ci sono potenti che pur riconoscendo le parole vere dei profeti non le ascoltano. E muoiono. «Trascorsero tre anni senza guerra fra Aram e Israele. Nel terzo anno Giosafat, re di Giuda, scese dal re d’Israele. Ora il re d’Israele... disse a Giosafat: "Verresti con me a combattere per Ramot di Gàlaad?". Giosafat rispose al re d’Israele: "Conta su di me come su te stesso"» (1 Re 22,1-4). Dopo la parentesi (meravigliosa) della vigna di Nabot, eccoci di nuovo nel contesto bellico aperto nel capitolo 20. Giosafat, re di Giuda, si reca in visita politica nel Nord. Acab gli propone di affiancarlo in una guerra di riconquista di territori occupati dagli aramei (Ramot di Gàlaad). Giosafat accetta ma chiede ad Acab di consultare prima i profeti (22,5). Consultare il proprio Dio prima di intraprendere un’impresa militare era molto comune nel mondo antico. Israele si trova ancora in una zona di confine tra lo sciamanesimo arcaico e il profetismo più maturo dei secoli successivi: «Il re d’Israele radunò i profeti, quattrocento persone, e domandò loro: "Devo andare in guerra contro Ramot di Gàlaad o devo rinunciare?". Risposero: "Attacca; il Signore la metterà in mano al re"» (22,6).

Profezia è storia/11 - Nella logica del Dio dei profeti ciò che è donato è ricevuto e moltiplicato

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 11/08/2019

«Spezzare un pane, ascoltare un quartetto di Mozart, camminare sotto una pioggia ridanciana, in questo momento ci sono degli esseri a cui non è permesso fare cose così semplici - perché sono malati, perché sono in prigione, o perché sono così poveri che per loro un pane vale una fortuna.»

Christian. Bobin Mozart e la pioggia

Con l’inizio del ciclo di Elia entriamo dentro episodi tra i più noti e amati della Bibbia, che tanto hanno ispirato i Vangeli. E abbiamo conferma della necessità di "uscire": quando la fede è minacciata dall’esterno è dentro quell’esterno che deve iniziare la salvezza.

Esiste una amicizia profonda tra i poveri e i profeti. Sulla terra ci sono pochi spettacoli più belli di poveri che condividono la loro tavola con il profeta/ospite che passa e li benedice. È il pane dei poveri il primo nutrimento dei profeti, che se smettono di mangiare questo pane iniziano a perdere la profezia e l’anima.

Profezia è storia/13 - Nessun gruppo supera in dignità la persona, al massimo può uguagliarla

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 01/09/2019

«Tutti i corpi insieme, e tutti gli spiriti insieme, e tutte le loro produzioni, non valgono un minimo moto di carità. Questo è di un ordine infinitamente più elevato»
Blaise Pascal, Pensieri

Il duello sul Monte Carmelo tra Elia e i profeti di Baal ci ricorda, in controluce, che la verità non coincide con la vittoria. E che chi annuncia verità chiama alla scelta, mai all’idolatria.

In questo racconto, tra i più noti della letteratura religiosa antica, il numero benedetto è il numero uno. Con Elia, solo contro le centinaia di profeti di Baal, e Abdia unico salvatore di profeti, la Bibbia ci dice che in molte crisi tremende la salvezza arriva perché c’è rimasto un giusto che salva tutti. In alcuni momenti decisivi, la massa critica è uno. Noè, Abramo, Mosè, i profeti, Elia, Abdia, Maria, Gesù: per quanto importante e bello sia il "noi", la Bibbia esalta anche l’"io". Il noi non salva nessuno se al suo cuore non c’è almeno un io che obbedisce a una voce e liberamente agisce. Un io giusto è il lievito della buona massa del noi. È questa la radice di quel principio personalista al centro dell’umanesimo occidentale, che oggi, nel fascino esercitato da nuovi noi, continua a ripeterci che nessun gruppo supera in dignità la singola persona, al massimo la può uguagliare. Nel "calcolo della dignità" nei gruppi umani le regole dell’aritmetica non valgono. Questo valore non aumenta con la somma, perché il primo addendo ha già un valore infinito - qui uno più uno più uno fa sempre e solo uno.

Profezia e storia/4 - Nella vita le sinfonie più preziose sono le incompiute, nostri veri capolavori

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 23/06/2019

«Io “sapienza sapienza” dico. Ma ne sono lontano, e l’esserci è lontananza. È profonda profondità. Chi può comprenderlo?»

Qoelet 7,23-24

La Sapienza biblica è ordito che s’intreccia ai fatti storici. E ci ricorda che siamo più grandi e belli delle cose più belle e grandi che possiamo fare, perché siamo stati creati per amore e non per utilità

La sapienza è un filo d’oro della Bibbia. È stata il fiore di una delle primavere più estese, colorate e variopinte della storia dell’umanità. Ciò che si manifestò in Grecia come filosofia, più o meno nello stesso tempo tra l’Egitto e la mezzaluna fertile divenne sapienza. Il mito antico e i suoi simboli raggiunsero una nuova età, più adulta e soprattutto finalmente capace di esprimere concetti e realtà che prima restavano avvolte dalla luce accecante (e dal buio) del mistero dell’intero. Il Mythos partorì il Logos. Fu l’invenzione della parola, come nuova epifania della vita e quindi dell’uomo, del mondo e di Dio. Anche se le parole della filosofia non coincidono con quelle della sapienza, si somigliano molto. Giobbe non è il Timeo di Platone, il Cantico dei cantici non è il Simposio, tuttavia riescono a parlare e a capirsi tra di loro. 

Profezia è storia/23 - La stessa parola biblica dice la «cassa» e lo scrigno-segno dell'Alleanza

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 10/11/2019

Rabbi Schmelke disse: "Il povero dà al ricco più che il ricco non dia al povero. E più che il povero del ricco, è il ricco che ha bisogno del povero"

Martin Buber,Storie e leggende chassidiche.

Il dono non si oppone al contratto, e il denaro investito, guadagnato e speso onestamente non è meno nobile delle offerte per il tempio. Solo insieme i doni e contratti ci possono salvare.

La fiducia nell’onestà delle gente che ci circonda è una risorsa essenziale di ogni economia e società. Quando l’ipotesi di onestà degli altri – che i giuristi chiamano buona fede – ispira i nostri rapporti, l’economia migliora insieme al nostro benessere. Senza questa premessa di onestà sono la diffidenza e il pessimismo antropologico a infestare i nostri luoghi di lavoro e di vita. Nessun management può essere sussidiario – affidare cioè la responsabilità delle scelte a chi si trova più vicino al lavoro da svolgere – se non siamo capaci di pensare bene degli altri fino a evidente (e reiterata) prova contraria. La benevolenza, pensare bene degli altri, è la radice della fiducia. Valorizza i lavoratori, li fa sentire stimati, rafforza la fiducia nelle organizzazioni e quindi migliora l’efficacia e l’efficienza della gestione. 

Profezia è storia/14 - In ogni cammino c’è la sfiduciata “tappa della ginestra”e si può superare

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 08/09/2019

«Il pericolo di ogni società umana è l’unanimità. Se ne rese conto nell’antico Israele il Sinedrio, che non permetteva che fossero eseguite le condanne a morte votate da tutti i membri. Al Sinedrio pareva impossibile che un voto unanime fosse umano, cioè ponderato e razionale»

Paolo De Benedetti, La Morte di Mosè

Elia sull’Oreb ci dice che nelle depressioni spirituali riusciamo a riconoscere Dio e a risorgere se Lui è capace di abbassare la voce, se sa farsi brezza leggera.

Le crisi, le stanchezze, le depressioni non sono tutte uguali. La Bibbia ci dice che esistono anche le depressioni spirituali, non rare nella vita dei profeti. Queste arrivano, in genere nella fase adulta della vita, alle persone che hanno ricevuto una chiamata e un compito. La depressione spirituale va distinta dalla depressione psichica, cosa non facile perché i segni sono molto simili. La storia di Elia ci svela una grammatica per riconoscere queste depressioni e, magari, per cercare di superarle.

Profezia è storia/12 - Troppi “morti” non risorgono perché ci illudiamo bastino le parole

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 25/08/2019

«Noi cerchiamo un altro Dio, che non meni vanto di questo mondo infelice. Abbiamo bisogno di cambiare Dio per conservarlo, e perché lui conservi noi.»

Paolo de Benedetti Quale Dio?

Il miracolo di Elia che riporta alla vita un ragazzo ci ricorda il grande significato della parola che si fa carne nella Bibbia, nella vita e nella preghiera.

I profeti si formano nella zona liminare tra la vita e la morte. È lì che apprendono il loro "mestiere". Sono perennemente in bilico, funamboli tra il già e il non ancora, esposti sul confine fondamentale e decisivo della condizione umana. La Bibbia sa che chi vede Dio muore. Il profeta "vede" Dio, lo ha visto o quantomeno udito nel giorno della sua chiamata. La vocazione profetica è insieme Tabor, Golgota e sepolcro vuoto: si vede Dio, si muore, si risorge. Il secondo episodio della missione di Elia è la risurrezione di un ragazzo. Ancora sospeso tra la vita e la morte: «In seguito accadde che il figlio della padrona di casa si ammalò. La sua malattia si aggravò tanto che spirò» (1 Re 17,17). Avevamo lasciato Elia nel miracolo della moltiplicazione del pane e dell’olio, che salva la vedova e suo figlio dalla morte per fame. Ora a quella vedova (o forse un’altra: non sappiamo se originariamente i due racconti fossero o no separati) il figlio si ammala e muore. Una scena che ritroveremo più volte anche nel Nuovo Testamento, che sarebbe stato molto diverso senza Elia.

Profezia è storia /27 - I potenti, se non riescono a restare come tutti, restano inumani.

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire 08/12/2019

«Ma come può Giosia ignorare Geremia e inviare emissari a Hulda? I saggi risposero: Perché le donne sono più compassionevoli, e quindi sperava che ciò che avrebbe detto loro non sarebbe stato eccessivamente duro».

Talmud, Meghilla 14b

Il ritrovamento di un libro nel tempio diventa la base di una grande riforma religiosa, dove incontriamo la profetessa Hulda che ci ricorda il significato delle donne e della profezia.

Un padre giusto e un grande miracolo non sono una garanzia che i figli continueranno a scrivere una storia giusta e buona. Dopo Ezechia, re buono e fedele che salvò Gerusalemme per la sua fede in Dio, in Giuda si susseguono due re malvagi, Manasse e Amon (2 Re 21), che riedificano gli altari agli dèi stranieri, riprendono e riattivano gli antichi culti popolari cananei che non si erano mai spenti tra la gente. Dopo la bella parentesi di Ezechia, ritorna l’idolatria, l’antica malattia di Israele – e di tutti gli uomini, che sono costruttori infaticabili di idoli per divenirne adoratori: siamo consumatori di molte merci, ma prima e sopra tutto siamo consumatori di idoli.

Profezia è storia/17 - Per un lascito spirituale non basta un primogenito, serve una comunità

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 29/09/2019

«L’angelo della morte si lamentava con il Signore, perché la traslazione di Elia avrebbe scatenato le proteste di tutti gli altri esseri umani, che non possono sconfiggere la morte»

Zohar,Il libro dello splendore

La scomparsa di Elia sul carro di fuoco e l’inizio del ciclo di Eliseo ci rivela una dimensione essenziale della profezia e della sua continuazione: ognuno è dono, il padre come il discepolo.

Le vocazioni dei profeti sono eventi misteriosi. In genere il profeta è chiamato direttamente da Dio, la sua vocazione avviene dentro una teofania, qualche volta accompagnata da visioni di angeli e da voci. Ma non è sempre così. Ci sono autentici profeti che non hanno mai sentito la voce di Dio che li chiamava per nome, che non hanno visto gli angeli. Hanno sentito soltanto un "sussurro di silenzio", o il grido dei poveri – e sono partiti. Altre volte è un altro profeta a chiamarli. Si trovavano lungo il mare di Galilea, stavano ritirando le reti. Passò un uomo diverso, forse un profeta, li chiamò, lasciarono l’acqua e divennero camminatori di terra. Anche Eliseo fu chiamato da Elia. I discepoli del Nazareno e di Eliseo non videro, diversamente da Isaia e Ezechiele, il cielo aperto. Videro un uomo, udirono solo la voce di un uomo, e in quella voce umana non mancava nulla per lasciare tutto. Queste sono le chiamate tipiche dei discepoli dei profeti, quando la vocazione inizia da una voce umana. Qualche volta alla voce del profeta si aggiunge quella di Dio; altre volte no, resta solo la voce di un uomo, di una donna. Eliseo sapeva che Elia era profeta di YHWH, sapeva che seguendo Elia avrebbe seguito Dio, ma a chiamarlo fu Elia, non il Dio di Elia. A Eliseo bastò quella voce umana per lasciare tutto e iniziare una vita nuova. Una chiamata che si è ripetuta molte volte nella storia, che si rinnova ogni giorno, quando la fede prende la forma della fiducia in una voce umana.

 Profezia è storia/25 - Autentica giustizia è anche impedire che il passato uccida il futuro

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 24/11/2019

"Il serpente di bronzo ai tempi di Ezechia non guariva più, anzi feriva: i valori del passato possono far questo, perché nessuna garanzia è data da Dio alle cose di cui egli ha voluto di volta in volta servirsi".

Paolo De Benedetti, Ezechia e il serpente di bronzo 

L’arte di ogni riforma è riuscire a capire quali elementi dell’origine vanno salvati e quali distrutti. Come seppe fare il re Ezechia con l’arca e con il serpente di bronzo.

Il passato, l’origine e le radici di una storia e di una vita sono spesso risorse essenziali per comprendere come e dove continuare ora quella storia e quella vita. Qualche volta, però, in alcune fasi rare e cruciali delle comunità e delle istituzioni, il riferimento all’inizio può rivelarsi una trappola mortale. Qui ci sarebbe bisogno di discernere gli spiriti del passato alla luce dell’esperienza presente; come accade spesso nelle famiglie, dove il senso di un evento doloroso vissuto dal nonno lo svela, tre generazioni dopo, la storia luminosa di un nipote. Il passato è vivo e vivificante se sa cambiare, morire e risorgere nel presente. Nelle vicende umane qualche volta sono i frutti a rigenerare le radici. Durante i processi di riforma delle comunità, delle istituzioni e delle organizzazioni, ad esempio, l’origine di una tradizione, di una regola, di un principio, non è sufficiente per capirne il senso presente e futuro. Occorre guardare all’oggi, all’uso corrente che se ne fa. Quando nelle comunità e nelle istituzioni è necessaria una riforma etica, occorre sapere individuare quali tradizioni dell’origine sono da conservare e quali sono da dimenticare. 

Profezia è storia/10 - L’equilibrio non è sempre virtù e le benedizioni sono anche nei dettagli

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 04/08/2019

«La voce del Signore provoca le doglie alle cerve e affretta il parto delle capre. Nel suo tempio tutti dicono: "Gloria!"»

Salmo 29

Le domande difficili e squilibrate che gli scrittori biblici fecero alla storia continuano a generare una lettura capace di far risorgere quella stessa storia. Come nel particolare che riscatta la triste vicenda di un bambino che muore.

L'equilibrio è spesso una virtù, ma, come tutte le virtù, se assolutizzato anche l’equilibrio diventa un vizio. Durante le crisi etiche e spirituali, solo scelte squilibrate ci possono salvare. Dietrich Bonhoeffer non fu equilibrato quando nel febbraio del 1938 scelse di entrare nel gruppo cospirativo anti-nazista dell’ammiraglio Canaris. I suoi colleghi teologi più equilibrati trovarono mille ragioni di prudenza per assistere passivi all’orrore, e ne divennero complici. Quel comportamento squilibrato generò, in carcere, forse la teologia più profetica del Novecento. E fu un altro comportamento imprudente e squilibrato a generare il Golgota e il sepolcro vuoto.

Profezia è storia/18 - Soprattutto nell’ora della crisi le madri sanno sempre ciò che più vale

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 05/10/2019

“Sappi, carissima, che la fine della mia vita è ormai prossima. Perciò affrettati a venire a Santa Maria degli Angeli... Ti prego ancora di portarmi di quei dolci, che eri solita darmi quando mi trovavo ammalato a Roma”
Lettera di S. Francesco a Frate Jacopa,
Fonti Francescane 253-255

I miracoli di Eliseo sono grandi narrative sulla vita e e sulla morte, e ci svelano nuovi brani della grammatica del talento femminile e del dovere dei profeti.

Sulla terra non c’è dono più grande di un figlio. Quando un figlio muore, facciamo l’esperienza dell’inganno più grande. E se avevamo vissuto quel dono come dono di Dio, la sua morte manda in crisi la fede, viviamo l’inganno come inganno di Dio. Con i figli moriamo anche noi, muore la fede, muore Dio. Qualche volta riusciamo a risorgere, e insieme a noi risorge la fede, risorge Dio. Noi amiamo molto l’immagine del crocifisso perché il Golgota è pane quotidiano, mentre i monti Tabor sono troppo pochi. 

Profezia è storia /22 - La Bibbia chiede di entrare nelle sue storie, scegliendo da che parte stare

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 03/11/2019

«Poiché così hanno trovato scritto nella loro Legge: un re porrai su di te (Deut. 17.15) e non una regina»
David Franco-Mendes,Il castigo di Atalia

La triste storia della regina Atalia ci offre l’opportunità di riflettere sulle tante pagine sue (e della vicenda umana) che non sono state scritte dalle vittime. E sulla necessità di salvare prima di tutto quelle e quelli che non hanno voce.

Le comunità ideali nascono spesso dall’opera e dalla parola dei profeti. Movimenti carismatici, congregazioni religiose, ma anche movimenti politici, culturali, associazioni, nascono perché una o più persone, con doni profetici, le generano e le fanno crescere. Attorno a queste persone "speciali" si radunano poi altre persone, chiamate dalla stessa voce, che riconoscono ai fondatori un ruolo diverso e unico, e tendono a conformarsi alle loro personalità carismatiche. Queste comunità fondate da profeti non sono però le uniche comunità ideali o spirituali. Ce ne sono altre che nascono attorno a un patto e una regola. Sono queste realtà collettive che non vengono generate da profeti ma da una regola vissuta e tramandata di generazione in generazione. 

Profezia è storia/6 - La Bibbia ci dice e ci ridice che il Dio vero è il Dio di tutti. E così Cristo.

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 07/07/2019

«Giobbe non accetterebbe di sacrificare supinamente suo figlio, perché non scambierebbe più la religiosità con l’arrendersi agli ordini e alle leggi.»

Ernst Bloch, Ateismo nel cristianesimo

Salomone termina la costruzione del suo tempio, e subito ci dice che la dimora di Dio non è il tempio. È questa castità religiosa che rende la fede diversa dall’idolatria.

La tentazione di tutti i costruttori di templi è il desiderio di catturare Dio nella dimora che gli hanno edificato. Perché il rischio di ogni teoria e prassi del sacro è la trasformazione della divinità in un bene di consumo. La Bibbia ci ricorda che la presenza di Dio nei templi e sulla terra è una presenza assente, dentro la quale si può compiere l’umile esercizio della fede. Il sacro biblico è un sacro parziale, il tempio è luogo religioso imperfetto. Questa necessaria "castità religiosa", che lascia sempre indigenti e desiderosi del "Dio del non-ancora" mentre se ne sperimenta una certa presenza vera e imperfetta, è stata custodita e coltivata gelosamente dalla Bibbia; e un giorno ha consentito agli ebrei di continuare la loro esperienza di fede anche con il tempio distrutto. La povertà di dover stare in un tempio meno luminoso di quelli degli altri popoli, generò la ricchezza di una religione liberata dal luogo sacro e quindi possibile anche negli esili. Solo gli idoli sono abbastanza piccoli da essere contenuti dai loro santuari. Il Dio biblico è l’Altissimo perché infinitamente più alto di ogni tetto di tempio che gli possiamo costruire.

Profezia e storia/3 - La preghiera di Salomone dovrebbe diventare il giuramento di ogni governante

di Luigino Bruni

 pubblicato su Avvenire il 16/06/2019

«Ma voi, spettatori della storia del cerchio di gesso, imparate la sentenza degli antichi: quello che c’è deve appartenere a coloro che ne fanno buon uso: i carri ai buoni guidatori, che così procedono bene, la valle ai buoni irrigatori, che così porta frutti, i bambini alle donne materne, che così crescono bene.»

Bertolt Brecht, Il cerchio di gesso del Caucaso

Salomone inizia il suo compito di re chiedendo a Dio il dono di un cuore che ascolta. E subito lo mette all’opera nel risolvere la disputa tra due madri per un bambino. Fu una scelta giusta? E perché?

Il primo esercizio di saggezza di Salomone riguarda due donne, "due prostitute", due povere, due vittime, due schiave (tali erano le prostitute in quelle società). Due persone sventurate che si trovano a gestire la crisi più intima che possa vivere una donna: la morte del suo bambino. Due madri disperate, ingaggiate in un prodigioso duello tra la vita e la morte, una disputa tra due persone entrambe straziate, che lottano per avere un figlio, che in quel mondo dominato dai maschi era spesso la sola gioia delle madri. Se vogliamo uscire migliori da questa lettura, splendida e difficile, dobbiamo provare ad attraversarla con compassione e misericordia. Per poterla poi riconoscere nelle nostre case e nei nostri tribunali, dove ogni giorno riecheggiano parole, discorsi, lacrime simili, insieme alle stesse bugie disperate, pronunciate davanti a bambini che rischiano di finire squarciati.

Profezia è storia/8 - La corruzione dei sapienti è diversa, grande come il bene che si guasta

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 21/07/2019

«Nella vita degli imperatori c’è un momento, che segue all’orgoglio per l’ampiezza sterminata dei territori che abbiamo conquistato, alla malinconia e al sollievo di sapere che presto rinunceremo a conoscerli e a comprenderli; un senso come di vuoto che ci prende una sera con l’odore degli elefanti dopo la pioggia e della cenere di sandalo che si raffredda nei bracieri;... è il momento disperato in cui si scopre che quest’impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro scettro possa mettervi riparo.»

Italo Calvino, Le città invisibili, Introduzione

La storia del declino di Salomone contiene uno degli insegnamenti antropologici più preziosi della Bibbia, e continua a ispirarci pur nella sua drammaticità: il nostro talento più bello può trasformarsi nella causa della nostra rovina.

La corruzione dei giusti è diversa da quella dei malvagi. C’è una corruzione di chi, per molte ragioni (e non tutte colpevoli) è sempre vissuto circondato da malvagità. È cresciuto con un cuore coltivato da pensieri e azioni cattive che hanno soverchiato i sentimenti buoni e veri che albergano in tutti i cuori umani. Queste persone sono rare, ma sono sempre esistite ed esistono. La loro corruzione è molto pericolosa, e produce molto male e dolore. Ma esiste anche la corruzione dei giusti, persino dei sapienti, che è tanto più grande e grave quanto più grande erano state la giustizia e la sapienza. La Bibbia ci parla anche di questo secondo tipo di corruzione. La storia del declino morale di Salomone è tra le più celebri. Questa, nella narrazione, giunge dopo la descrizione del massimo successo di Salomone; ma guardando bene nel testo e nell’intera Bibbia ci accorgiamo che la corruzione morale del re più sapiente era già iniziata con la crescita del suo successo politico e delle sue ricchezze: «Il peso dell’oro che giungeva a Salomone ogni anno era di seicentosessantasei talenti d’oro, senza contare quanto ne proveniva dai mercanti e dal guadagno dei commercianti … Il re aveva in mare le navi di Tarsis, con le navi di Chiram… Il re Salomone fu più grande, per ricchezza e sapienza, di tutti i re della terra» (1 Re 10,14-23). Qui ancora tutto parla di ricchezza e di sapienza, come fossero due facce della stessa medaglia, come se il benessere (shalom) di Salomone fosse l’effetto della sua saggezza. E infatti nella Bibbia c’è un’anima che legge la ricchezza come benedizione di Dio, che quindi lega strettamente tra di loro successo economico-politico e giustizia (si veda il libro di Giobbe). Ma nella stessa Bibbia la tradizione profetica e una linea teologica presente anche nella scuola di scribi che durante l’esilio babilonese scrisse buona parte dei Libri dei Re, vedono l’accumulo di ricchezza e la crescita del potere politico in modo molto più problematico.

Profezia è storia/29 - Nella sconfitta, quando una storia finisce, si scoprono verità e forza di Dio

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenireil 22/12/2019

"Perché hai portato via i miei figli, perché li hai fatti uccidere a fil di spada e li hai lasciati alla mercé dei nemici? E allora il Dio supremo fu mosso a compassione e disse: «Per te Rachele, per te ricondurrò i figli d’Israele alla loro terra»"

Louis Ginzberg,Le leggende degli ebrei

Siamo giunti alla fine del commento dei Libri dei Re, con la distruzione di Gerusalemme e con l’esilio. Ma anche dentro l’esilio può nascondersi una paradossale <oikonomia>

«Il settimo giorno del quinto mese – era l’anno diciannovesimo del re Nabucodònosor, re di Babilonia – Nabuzaradàn, capo delle guardie, ufficiale del re di Babilonia, entrò in Gerusalemme. Egli incendiò il tempio del Signore e la reggia e tutte le case di Gerusalemme; diede alle fiamme anche tutte le case dei nobili. Tutto l’esercito dei Caldei, che era con il capo delle guardie, demolì le mura intorno a Gerusalemme. Nabuzaradàn, capo delle guardie, deportò il resto del popolo che era rimasto in città, i disertori che erano passati al re di Babilonia e il resto della moltitudine» (2 Re 25,8-11). Con la fine della storia di Gerusalemme, occupata, distrutta, data alle fiamme e con parte del popolo deportato in Babilonia, termina anche il nostro commento al Secondo Libro dei Re. E si conclude anche quella storia che era partita nella Genesi, nel caos informe, vivificato e ordinato dallo Spirito. Lì fa la comparsa l’Adam, il centro di quella creazione che culmina nello shabbat, nell’atto/non-atto con cui Elohim, nel settimo giorno, "smette" (shabbat) e si separa dalla sua creazione. Uno smettere e un separarsi che sono anche l’inizio della storia, cioè di quell’intreccio di vita e di morte, di virtù e di peccato, di parole di Dio e parole di uomini e donne, di cui è composta la Bibbia. Lo shabbat (non l’uomo) è il culmine della creazione, ed è anche il suo destino e il suo eskaton. La creazione termina con lo shabbat a dirci che la storia terminerà quando tutto sarà shabbat, quando la stessa legge varrà per tutti gli uomini e donne senza più le distinzioni dei molti status degli altri sei giorni, e quando la fraternità umana abbraccerà la terra e il cosmo. Non troveremo un rapporto possibile e capace di futuro con il creato se non daremo vita a una nuova cultura dello shabbat, senza imparare di nuovo a "smettere". 

Profezia è storia/9 - I profeti tentatori parlano la stessa lingua di quelli onesti

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 28/07/2019

«Qualcuno mi disse: non ti sei destato alla veglia ma a un sogno precedente. Questo sogno è dentro un altro, e così all’infinito. La strada che dovrai percorrere all’indietro è interminabile e morrai prima di esserti veramente destato. Un uomo si confonde, gradatamente, con la forma del suo destino.»

Jorge Luis Borges, La scrittura del dio

Si può essere profeti veri anche senza virtù, ma non senza obbedienza al compito ricevuto. È questo uno dei sensi della parabola dei due profeti dei Libri dei Re. Un altro è che solo i profeti veri possono smarrire la via.

Nella vita le motivazioni contano, qualche volta contano molto. Ci spiegano i tradimenti, le fedeltà e le infedeltà, ne aumentano o ne riducono le responsabilità. È vero, lo sappiamo e lo reimpariamo ogni giorno sulla nostra pelle e su quella degli altri. Ma in alcuni eventi veramente decisivi i comportamenti contano più delle loro motivazioni. Posso darti e darmi tutte le ragioni perché quel giorno ho deciso di ascoltare una voce che mi ha portato lontano da te, ma ciò che veramente conta è che sono uscito di casa e non sono tornato più. Questa verità antropologica diventa una verità assoluta nelle vocazioni profetiche. La parabola del profeta disobbediente e del profeta bugiardo ce lo dice con rara bellezza.

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