La fiera e il tempio

La fiera e il tempio/11 - Esemplare la tessitura di relazioni che fece grande il toscano Francesco Datini. Pessimismo, cinismo, invidia e diffidenza sono i grandi vizi capitali dell’impresa.

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 17/01/2021

Commercio virtuoso e di successo è quello di chi lavora per denaro e insieme per vocazione. Le due cose insieme. La ricchezza, come la felicità, arriva cercando (anche) altro.

Chi osserva la vita economica da lontano, spesso finisce per perdersi le note più belle di questo pezzo di vita. Vede incentivi, riunioni, uffici, algoritmi, razionalità, profitti, debiti. Quasi mai si accorge che dietro strategie, contratti e affari ci sono delle persone, e tra queste ce ne sono alcune che in quelle imprese ci mettono la carne, tutte le loro passioni e intelligenza, la vita. Da lontano e da fuori vediamo le tracce del lavoro, raramente vediamo il corpo di chi quelle tracce lascia, quasi mai vediamo l’anima. Ma quando riusciamo a vedere le anime, in quelle stesse imprese vediamo spiriti e demoni, angeli salire e scendere dal paradiso. 

La fiera e il tempio/3 - L’analisi. Il gran dibattito teologico sulla natura degli interessi e un cruciale discernimento operato dai francescani

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 22/11/2020

La storia non è fiction, la Provvidenza parla anche negli avvenimenti concreti, lo Spirito spira pure dentro un contratto

C’era un tempo in Europa quando i Papi emettevano Bolle per risolvere controversie su banche e interessi. Quando "l’economia della salvezza" e "la salvezza dell’economia" erano entrambe al centro dell’impegno dei cristiani, dell’intelligenza dei teologi, dell’osservazione della pubblica opinione. Quando i dibattiti sull’eucarestia e quelli sulla legittimità dell’usura avevano la stessa dignità teologica e umana, perché la Chiesa e la gente sapevano bene che si viveva e si moriva anche per la mancanza di credito o per troppi prestiti cattivi.

La fiera e il tempio/12 - L’umanesimo latino e precapitalista delle città e dei mercanti medievali e la critica dello spirito del capitalismo.

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 24/01/2021

Francescani e domenicani cambiarono il mondo: essere ricchi tra chi loda la povertà è ben diverso dall'esserlo tra chi loda, anche religiosamente, la ricchezza.

L’emergere progressivo dell’etica mercantile nel Medioevo europeo fu qualcosa di molto più complesso della semplice laicizzazione dell’antica etica religiosa. Il processo che dall’economia di mercato medioevale condusse al capitalismo non è stato lineare, ha conosciuto interruzioni, deviazioni e salti. Il mercante medioevale era prima medioevale poi mercante. Sulle rotte commerciali europee insieme a clienti e fornitori incontrava anche demoni, spiriti e santi, e mentre si arricchiva sulla terra la sua mente era rivolta al cielo. Abitanti per vocazione e in ogni stagione delle "terre di mezzo", quei mercanti erano insieme uomini del loro tempo e uomini fuori tempo, radicati nella loro età eppure anticipatori di tempi nuovi. Come tutti gli innovatori si muovevano tra il già e il non-ancora, ultimi rappresentanti di un mondo e i primi di un altro che ancora non c’era. Stavano sul crinale del tempo, e da lì riuscivano a guardare più lontano, ancorati nel presente speculavano sul futuro. La prima e più importante comunità nella quale vivevano non era la societas mercatorum ma la comunità cristiana, la prima legge non era la lex mercatoria ma quella della Chiesa. Sulle loro ricchezze gravava veramente un’ipoteca sociale, che era un fuoco spirituale che riscaldava i denari che scottavano nelle loro mani se non li condividevano con la comunità. 

La fiera e il tempio/5 - I frati non essendo utilizzatori dei soldi, divennero maestri di un’altra economia, perché ci sono le monete di Giuda e quelle del Buon Samaritano.

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 06/12/2020

Il rifiuto di ogni ricchezza dei primi seguaci del Santo di Assisi produsse innovazioni economiche fondamentali e ha tenuto viva una profezia ancora capace di futuro.

L’altissima povertà di Francesco è stato qualcosa di unico nella storia. Un amore folle, assoluto, totalmente imprudente, l’anti-buonsenso. Un rifiuto radicale del denaro e della ricchezza che ha generato la più profonda comprensione della natura dell’economia. 

La fiera e il tempio/6 - L’analisi. La svalutazione di lavoro e mercato frutto delle culture arcaiche e greco-romana e di errate idee «teologiche».

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 13/12/2020

L’ "economo-traditore" divenne immagine di chi vende per guadagnare, di ogni turpe commercio, e la Maria che unisce tre diverse donne dei Vangeli simbolo del pio sperpero per il culto e il bene comune.

Non è immediato associare la figura di Giuda all’etica economica europea, ma dobbiamo farlo se vogliamo capirla. Giuda iscariota è il traditore, è il “cassiere” della comunità dei dodici, ma è anche un “pessimo mercante” per la infima somma, trenta denari, che chiese in cambio del suo tradimento. Somma infame e infima se confrontata con altre celebri somme di denaro della Bibbia (per la tomba di Sarah, per il campo di Geremia in Anatot). Nel medioevo Giuda l’economo, Giuda il traditore e Giuda il pessimo mercante si intrecciarono, dando vita alle popolari leggende di Giuda. Nella “Navigazione di San Brentano” (sec X) Giuda, novello Edipo, dopo che suo padre sognò che suo figlio lo avrebbe ucciso, viene abbandonato a Gerusalemme dove entra nella corte di Erode, lì diventa ladro, quindi uccide il padre e sposa la madre, per finire infine nella comunità degli apostoli.

Come ci ha mostrato lo storico Giacomo Todeschini nella sua essenziale opera “Come Giuda”(2011), la figura di Giuda divenne l’icona dell’ebreo medioevale nelle città europee, quando l’ambivalenza semantica Giuda/giudei finì per associare al peccato di Giuda anche gli ebrei in quanto tali (l’antisemitismo europeo è maturato anche nella sfera economica e finanziaria). Nel secondo millennio, per la pietà popolare, per l’arte e molta teologia, Giuda divenne anche il volto diogni operatore economico che lavorava con un fine di lucro. Non solo l’usuraio, ma ogni persona che agiva per procurarsi un guadagno; quindi i commercianti, gli artigiani, i lavoratori dipendenti, tutti associati all’economo dei dodici perché, come lui, vendevano qualcosa per procurarsi denaro. 

La fiera e il tempio/1 - La pandemia rende chiaro, come già in altri fasi epocali, che l’economia non va demonizzata, ma convertita

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire 08/11/2020

La grande lezione della fondazione dei Monti di pietà da parte dei francescani, ci dice oggi che non usciremo migliori da questa crisi se non daremo vita a nuove istituzioni, anche finanziarie.

Le grandi crisi sono sempre processi di "distruzione creatrice". Fanno cadere cose che fino a ieri sembravano incrollabili, e dalle ceneri fanno sorgere delle novità, prima impensabili. Lungo la storia i grandi cambiamenti istituzionali sono stati generati quasi sempre da dolori collettivi, da enormi ferite sociali che hanno saputo far nascere, qualche volta, anche una benedizione. Le guerre di religione tra cattolici e protestanti diedero vita nel Seicento alle Borse valori e alle Banche centrali in molti Paesi europei. La stessa fede cristiana non era più sufficiente a garantire gli scambi commerciali e finanziari in Europa. Occorreva allora creare una nuova fede e una nuova fiducia (fides), che fu offerta da nuove istituzioni economiche e finanziarie da cui fiorì il capitalismo. Nella seconda metà dell’Ottocento la rivoluzione industriale creò una grave crisi del credito: cattolici e socialisti risposero dando vita a banche rurali, banche cooperative e casse di risparmio. Nel Novecento le guerre mondiali ci hanno lasciato in eredità nuove innovazioni politiche e istituzionali (dalla Comunità Europea all’Onu), ma anche nuove istituzioni finanziarie (Bretton Woods). Come se soltanto nel grande dolore gli uomini fossero capaci, in quella notte, di guardare insieme e più in alto, sino a vedere, finalmente, le stelle. 

La fiera e il tempio/17 - Lo stigma negativo sul nubilato portò gradatamente alla nascita di nuovi Monti, enti di credito e beneficienza.

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 28/02/2021

Il sistema della dote come estromissione delle donne dall'eredità viene stabilito dagli statuti cittadini italiani già nel Duecento e crebbe con la crescita del ceto mercantile.

Il mercato delle doti è tra i fenomeni economici e sociali più rilevanti tra Medioevo e Modernità, che ci fa intuire l’alto prezzo pagato dalle donne, vittime sacrificali immolate sull’altare della società mercantile. La dote era la porzione di eredità paterna che una figlia riceveva al momento del matrimonio. Una volta ottenuta la sua dote, una donna non aveva più diritti sui beni della famiglia di origine. Quindi la dote era il prezzo per escludere le figlie dall’eredità paterna, stabilendo una linea successoria tutta maschile. Il sistema della dote come estromissione delle donne dall’eredità viene stabilito dagli statuti cittadini italiani già nel Duecento, e il suo peso crebbe insieme alla ricchezza delle nuove famiglie di mercanti. Maritare le figlie divenne per le casate patrizie un problema sempre più serio, al punto che Dante rimpiangeva la Firenze pre-mercantile del suo avo Cacciaguida, quando «non faceva, nascendo, ancor paura la figlia al padre» (Pd XV, 103). Qui Dante racchiude in un solo verso l’essenza del fenomeno della dote nella sua Firenze, dove l’arrivo di una bambina era un futuro costo per i genitori. La discriminazione delle donne è sempre iniziata sul volto di donne, le levatrici, che dovevano dare la triste notizia a un’altra donna che aveva appena generato una femmina – esperienze e dolori che, grazie a Dio, non capiamo più e abbiamo dimenticato. Il celibato per i maschi era come un segno di nobiltà, il nubilato "civile" delle donne era invece socialmente stigmatizzato e scoraggiato. 

La fiera e il tempio/4 - L’analisi - Nell’umanesimo biblico c'è lo« shabbat» eppure tutti i giorni sono di Dio, poi è venuto il «tempo misto» e oggi...

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 29/11/2020

"Il tempo è un bambino che gioca. Di un bambino è il regno".
Eraclito,Frammenti

Abbiamo cominciato a vendere e a comprare tempo quando nel discorso religioso è entrato il Purgatorio e con esso il mercanteggiamento sul tempo dei morti e quindi anche dei vivi.
Gli effetti della distruzione del tempo li vediamo bene nella questione ambientale dove si fa distruzione di futuro in un’economia tutta giocata al presente.

Il tempo è di Dio. Quindi l’usuraio, che vende il tempo, lucra su un bene non suo. Era questa una delle argomentazioni più antiche contro il prestito a interesse. In questa natura divina del tempo si nasconde però qualcos’altro di molto importante per capire la nascita del capitalismo: «L’usuraio agisce contro la legge naturale universale, perché egli vende il tempo, che è comune a tutte le creature. Poiché dunque l’usuraio vende ciò che appartiene necessariamente a tutte le creature, egli lede tutte le creature in generale; anche le pietre, donde risulta che anche se gli uomini tacessero davanti agli usurai le pietre griderebbero». Nella sua "Summa aurea", Guglielmo d’Auxerre (1160-1229) aggiunge qui una dimensione importante, espressione dell’umanesimo biblico. Il tempo è di Dio quindi è «comune a tutte le creature». È un bene comune, e in quanto tale non può essere oggetto di commercio a scopo di lucro. Sarebbe appropriazione privata di un bene comune. Il tempo, dunque, non sarebbe solo un bene divino, ma anche un bene comune globale e cosmico («le pietre»). 

La fiera e il tempio/13 - I mercanti scrittori ci consegnano pagine di vita e storie economiche all’insegna di competenza, sobrietà, bellezza e fede.

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 31/01/2021

La nostra economia diventa civile e civilizzata solo se è relazione, se sa unire i diversi e abita in modo generativo contraddizioni e ambivalenze.

Tra il Medioevo e il Rinascimento lo spirito dell’economia di mercato era diverso, a tratti molto diverso da quello del capitalismo moderno. Sta in questa differenza il senso di tornare alle domande di quella stagione dell’economia, perché il capitalismo nei secoli successivi non ha risposto diversamente alle stesse domande, ha semplicemente cambiato le domande. Quella prima etica mercantile si sviluppò dentro un mondo che mentre vedeva crescere la ricchezza dei grandi mercanti e cercava una via per tenerli dentro il recinto delle pecorelle di Cristo, vedeva anche il movimento francescano che lottava con Papi e teologi per poter ottenere il privilegio dell’altissima povertà, di poter attraversare il mondo senza diventare domini (padroni) dei beni che usavano. Tra il Libro della ragione commerciale e il Libro della ragione religiosa scorreva una tensione tragica. L’uno sfidava e limitava l’altro, e così la mercatura non diventava un idolo e la religione non si trasformava in una gabbia. 

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