Economia della gioia

Economia della gioia 6/ - Con l’Anno Santo riscopriamo la legge impressa da Dio nel riposo dalle nostre servitù, che dominano nello scorrere della vita

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 20/05/2025

 «Se Dio c’è, oggi ha più bisogno di qualcuno che, se non sa dire chi egli è, dica almeno chi non è. Nel senso di una distruzione (o di un tentativo di distruzione) dell’idolo metafisico e imperiale che scambiamo per Dio. La fede può fare a meno di questa operazione, ma può anche soccombere davanti a questo Dio che non c’è».

Paolo de Benedetti, Quale Dio?

Esiste un rapporto profondo tra il Giubileo e le beatitudini. Le beatitudini sono lo shabbat del vangelo, il Giubileo dell’intera Bibbia, l’anno sabbatico della storia, sono quel tempo diverso verso cui tendono, profeticamente, tutti gli altri tempi. Sono l’annuncio di un’altra gioia, della terra promessa libera e non occupata dai nostri affari e dalle nostre armi. Sono il ‘paese del non-ancora’, che da duemila anni giudica la nostra ‘terra del già’ e sempre la giudicherà per provare a convertirla e chiamarla verso un oltre. Le beatitudini sono la mappa per raggiungere il regno e sono anche la sua porta, di quel regno che attraversa, come promessa, le diverse beatitudini di Luca e di Matteo. Parlano quindi di questa vita, non di quella futura, hanno il sapore dei frutti della nostra terra di oggi. Tutta la loro profezia infinita sta in questo loro essere ‘cosa di terra’, sta qui il loro paradosso, perché ci parlano dei nostri poveri, dei nostri perseguitati per causa della giustizia, dei nostri mansueti, dei nostri costruttori di pace; e nella loro terrestrità sta il loro scandalo e oblio, insieme al sarcasmo dal quale sono circondate, ieri e oggi.

Economia della gioia 3/ La cultura giubilare attraversa la Bibbia in profondità come nei due episodi cruciali del libro di Neemia

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenireil 08/04/2025

La cultura giubilare non va cercata soltanto nei testi che regolano espressamente il Giubileo o l’anno sabbatico. In diversi libri della Bibbia ci sono, infatti, passaggi che contengono dimensioni decisive per comprendere l’umanesimo del giubileo. Dopo l’analisi del libro di Geremia, ora guardiamo da vicino un capitolo del libro di Neemia, un alto funzionario (coppiere) della corte del re persiano Artaserse (465-424 a.c.). Neemia era un ebreo laico nato in esilio, che, come Ester, arrivò alle più alte cariche di corte, e poi divenne governatore della Giudea sotto l’occupazione persiana. Neemia, mentre si trovava a Susa, venne a conoscenza della condizione misera dei giudei di Gerusalemme: “I superstiti che sono scampati alla deportazione sono là, nella provincia, in grande miseria e desolazione; le mura di Gerusalemme sono devastate” (Ne 1,3). Neemia sentì una chiamata (cap. 2), chiese al re di essere inviato a Gerusalemme per ricostruirla. Quando, infatti, un parte degli esiliati in Babilonia tornò in patria, la convivenza con gli ebrei restati a Gerusalemme non fu facile. C’erano evidenti ragioni economiche e patrimoniali - le terre dei deportati erano, almeno in parte, passate alle famiglie rimaste e ora venivano reclamate -; ma c’erano anche ragioni teologiche e religiose: chi era scampato alla deportazione tendeva a trattare i deportati come colpevoli che avevano meritato l’esilio (operazioni molto comuni in molte comunità).

Economia della gioia 1/ Le sorgenti ebraiche avviano il viaggio nel significato di un evento dal potenziale rivoluzionario: perché non siamo i “padroni” di nulla

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenirel'11/03/2025

 Il giubileo biblico era soprattutto una faccenda economica e sociale. L’annuncio di un anno diverso, straordinario, quando si liberavano gli schiavi, si restituiva la terra ai proprietari originari, si rimettevano i debiti. La parola giubileo proviene dalla parola ebraica Jôbel, il suono del corno di montone con cui si aprivano alcune grandi feste. Ma forse vi è anche una eco di un’altra parola ebraica, jabal, che significava ‘restituire, mandar via’, che sottolinea le dimensioni sociali ed economiche. Il giubileo era infatti un anno sabbatico al quadrato, che avveniva ogni sette anni sabbatici, quindi ogni 49 anni, arrotondati a 50.

Economia della gioia 5/ - L’Anno Santo come tempo propizio per fare memoria della propria liberazione e diventare liberatori per gli altri

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenireil 06/05/2025

La libertà è un bene speciale. Amiamo molte cose, ma ciò che amiamo è bello e buono se e perché siamo liberi. E se liberi non siamo sacrifichiamo tutti gli altri beni, persino la vita, per diventarlo, pur sapendo che non lo diventeremo mai pienamente e definitivamente, perché il cammino dell’esistenza è un continuo passare da una liberazione ad un’altra. Esiste, infatti, un profondo legame tra libertà e liberazione. Anche se non ne siamo sempre consapevoli, ciò che noi sperimentiamo come libertà - libertà di, libertà da, libertà per, libertà con … - è frutto di una liberazione, di molte liberazioni. Si è liberi perché liberati, da quella prima liberazione stupenda ed essenziale dal grembo materno, per continuare con le molte liberazioni dell’infanzia e della giovinezza (dall’ignoranza, dalla dipendenza economica, materiale, affettiva). Poi per tutta la vita, quando la liberazione prende la forma dell’uscita da ‘trappole di povertà’, dove la mano della vita, degli altri e/o la nostra ci conducono. Fino all’ultima liberazione per mano dell’angelo della morte. In un giorno adulto della vita scopriamo poi che quella nostalgia che ci sorprende in qualche sera, o che si insinua in un sogno ricorrente, non è altro che un profondo desiderio di liberazione. Ci scopriamo bramosi di essere liberati da qualcuno. E finalmente capiamo che anche in quelle che ci sono sembrate, e magari lo erano, auto-liberazioni, c’era, invisibile, la presenza di un’altra mano che sosteneva la nostra: “Il ponte levatoio si trova sull’altra sponda ed è dall’altra sponda che devono comunicarci che siamo liberi” (Jacob Taubes). L’essenza della fede si trova nella consapevolezza, o quantomeno nella speranza, che non solo la vita è dono, ma anche la libertà lo è. E lo è anche quando a liberarci è stata la mano di una persona concreta, o siamo stati noi - questa ‘liberazione di seconda battuta’, che attribuisce le nostre liberazioni a Dio, è un dono collaterale del dono della fede, perché ci libera dai grandi debiti spirituali e morali verso i nostri liberatori terreni: siamo loro grati, ma non ci sentiamo loro debitori. Il sentirci liberati ci libera poi dalla superbia-hybris dell’auto-sufficienza e onnipotenza della nostra mano, che sta diventando la religione più diffusa del nostro tempo, dove l’ego diventa l’unico credente, sacerdote e dio. Il mercato capitalista ama molto questa nuova ‘religione’ di massa, che in Occidente ha già preso il posto del cristianesimo.

Economia della gioia 2/ Cosa insegna la vicenda biblica della liberazione degli schiavi durante l’assedio babilonese a Gerusalemme

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenireil 25/03/2025

La cultura sabbatica e giubilare informa l’intero umanesimo biblico. La celebrazione settimanale dello shabbat, e poi dell’anno sabbatico ogni sette anni e infine del Giubileo, utilizzavano il ritmo ciclico per creare una vera e propria cultura sabbatica. Anche la Chiesa per secoli ha usato il metodo ciclico della liturgia e delle feste per creare la cultura cristiana e la christianitas. Ogni cultura popolare nasce dal culto, quindi da azioni ripetute, quotidiane e cicliche. Lo vediamo bene con il capitalismo e i suoi molti culti di acquisto, incluso l’ultimo rito di entrare in un negozio, pagare 20 euro per ricevere ‘alla cieca’ un pacco mai ritirato dall’acquirente - prima dell’avvento della religione capitalistica, con questi pacchi orfani avremmo fatto pesche di beneficienza. Per questa ragione, nella storia biblica i gesti sabbatici non seguivano soltanto il ritmo settennale. Si potevano svolgere anche al di fuori dell’anno sabbatico o del giubileo, come sappiamo, tra l’altro, da un importante episodio narrato dal profeta Geremia - i profeti sono essenziali per capire la cultura giubilare biblica.

Economia della gioia 4/ - Dall’esilio del popolo ebraico a Babilonia emerge la semplicità della fede autentica, che si affina e si spoglia nel tempo

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 23/04/2025

Nella visione profetica di Ezechiele la casa di Dio si trasforma in un fiume, simbolo di una spiritualità che supera i luoghi sacri materiali e muta in acqua viva, laica e concreta

La vita spirituale comincia nella semplicità assoluta - ‘E c’era soltanto una voce’. Presto però si complica mentre si arricchisce, perché la prima voce nuda della giovinezza diventa culto, religione, tempio, oggetti sacri, dogmi. Ma alla fine, dopo molto tempo, se la vita funziona e non ci butta fuoristrada in qualche curva particolarmente ostica e cieca, si ritorna semplici e poveri. E lì, a piedi scalzi, si capisce finalmente che nella vita conta solo provare a diventare sempre più piccoli e semplici per provare a passare attraverso l’asola dell’ago dell’angelo - perché qualsiasi oggetto e suppellettile religioso che ci portiamo dietro ci impediscono il passaggio. Passeranno soltanto quella prima voce sottile, forse un amico buono, e un brandello di verità su noi stessi. Trascorriamo buona parte della vita a cercare Dio nei templi e nei luoghi del sacro, per accorgerci, quasi sempre troppo tardi o alla fine, che quanto cercavamo si trovava, semplicemente, dentro casa, nelle semplici faccende di tutti i giorni, tra le stoviglie e la credenza. Ma non potevamo saperlo prima dell’attraversamento dell’ultima cruna.

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