Le virtù del mercato, MSA

Pensiamo, ogni tanto, alla felicità, ma soprattutto pensiamo alla verità, alla bontà e alla giustizia della vita, nostra e di quella degli altri.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 06/09/2024

La felicità è troppo poco. Sembra una frase, questa, totalmente stonata in un tempo come il nostro, che ha fatto della felicità l’ideale più grande, a volte unico, della vita. Cercare la propria felicità, o la propria realizzazione, è diventato un imperativo etico, e chi prova, come faccio anche io da anni, a metterlo in discussione, appare bizzarro o magari depresso.«Cerca di essere finalmente felice…» è diventata così una delle frasi più sentite e che sembrano pure convincenti. Ma, in realtà, le cose sono più complicate. Innanzitutto, non è vero che la felicità è una realtà nuova. I greci, pensiamo ad Aristotele, l’avevano messa al centro del loro umanesimo, perché per quei filosofi antichi non c’era nulla di più degno e nobile della felicità (eudaimonia), definito il fine ultimo, il bene perfetto oltre il quale non vi era nulla che valesse.

L’imprenditore, onesto e civile, oggi soffre perché viene scambiato con lo speculatore, perché troppi imprenditori si sono trasformati, a volte senza volerlo, in speculatori, divorati dalla sindrome della rendita. È ora di iniziare a vederlo, e a dirlo.

di Luigino Bruni

pubblicato il 04/01/2024 su Il Messaggero di Sant'Antonio

Da sempre l’economia è il risultato di una tensione, o di un conflitto, tra profitti e rendite, cioè tra chi per guadagnare deve produrre nuovo reddito nel tempo presente, e chi guadagna oggi per ricchezze accumulate ieri e dalla passate generazioni.Gli imprenditori vivono di profitti, gli speculatori di rendite. La critica radicale nei confronti dell’usura che troviamo nella Bibbia e nel Vangelo (di Luca) ha la sua radice in una profonda avversione verso la rendita. L’usura, in un mondo sostanzialmente statico come era quello antico, è infatti una forma di rendita, cioè un reddito che nasce dal solo fatto di detenere il potere su un mezzo fondamentale (la moneta). Non c’è lavoro dietro alle usure, solo la forza e i privilegi. La critica all’usura ha attraversato tutto il Medioevo e la Controriforma, perché si riallacciava alla critica della Chiesa nei confronti delle rendite, sebbene gli stessi ecclesiastici fossero parte della classe redditiera; una delle tante contraddizioni della storia, e anche delle ragioni della poca efficacia della lotta della Chiesa nei confronti dell’usura, una lotta che conviveva con privilegi, anche politici, accordati ai banchieri-usurai dei Papi.

All’origine della civiltà biblica c’è l’istituzione solidale della spigolatura. Il libro di Rut è tutto costruito su di essa: quando i mietitori passavano a tagliare le messi non ripassavano una seconda volta, perché la seconda battuta era per i poveri...

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di S. Antonio il 07/05/2023

«Signore come funziona questa macchinetta per il parcheggio?»mi chiede una signora anziana che stava cercando, come me, di pagare la sosta nelle righe blu. In quella città l’azienda che gestisce i parcheggi comunali - cioè suolo pubblico, quindi di tutti -, ha avuto la buona idea, ormai diffusa, di richiedere al cittadino di inserire nella macchinetta il numero della targa. «Non me la ricordo», mi dice la signora. Mi indica dove si trova la sua auto, distante per lei che aveva difficoltà a camminare. Vado, faccio una foto alla targa, e l’aiuto a pagare il ticket.

Il mercato è una faccenda di relazioni e le relazioni positive sono quelle che fanno crescere tutti e in cui non perde nessuno. In questo il mercato è davvero diverso dallo sport.

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di Sant'Antonio il 23/09/2022

Da sempre lo sport viene accostato ai mercati e all’economia, ma non sempre i parallelismi sono proposti con una sufficiente attenzione e con uno sguardo che sa discernere. Infatti, le parole e le ispirazioni che lo sport può offrire ai mercati sono diverse: alcune sono buone e utili, altre meno, qualcuna è semplicemente fuorviante. Iniziamo da quelle buone. Una prima riguarda il rapporto che c’è negli sport individuali tra il singolo atleta e la propria squadra di appartenenza o la squadra nazionale.

Per tanti anni abbiamo consumato i capitali naturali, civili e spirituali come se fossero infiniti. Che fare ora che quei capitali stanno davvero finendo?

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 06/04/2024

L’economia antica pensava che la ricchezza fosse legata al possesso di capitali. Palazzi, miniere, e soprattutto oro, erano considerati la vera ricchezza di famiglie, città o Stati. Quindi, la politica economica aveva un’unica indicazione: aumentare l’oro nei forzieri, e fare di tutto per farne uscire il meno possibile. A metà Settecento, poi, la scuola francese della «Fisiocrazia» operò un cambiamento radicale, dicendoci che la ricchezza più importante era invece un’altra: il flusso annuale di reddito che i capitali generano.E nacque il concetto del Pil, il prodotto interno lordo, che poi diventerà operativo solo con l’inizio del XX secolo e con lo sviluppo delle tecniche di contabilità nazionale.

Le virtù del mercato - Troppo spesso nel passato si è fatta passare per umiltà ciò che in realtà erano vere e proprie umiliazioni. Ma la prima espressione di umiltà è quella di riscattare chi è stato umiliato.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di S.Antonio il 09/04/2018

Economia umiltà MSA ridUmiltà è una parola fondamentale dell’umanesimo occidentale, al centro di ogni processo educativo, che è presente in ogni persona che stimiamo davvero.Ma, come tutte le parole grandi della vita, anche «umiltà» è ambivalente, perché c’è umiltà buona e umiltà cattiva.

Non possiamo dimenticare che, nei secoli passati, in nome del valore dell’umiltà sono state umiliate tante persone, tante donne, tanti poveri. Persone umiliate dai potenti, e magari veniva loro raccomandato di coltivare l’umiltà nella loro umiliazione. Questo uso dell’umiltà e dell’umiliazione è tutt’altro che virtù, e ha generato tanto dolore e ha fatto sfiorire troppe persone. Non è infatti questa umiltà-umiliazione quella che ritroviamo nella Bibbia e nei vangeli, dove invece gli umili vengono «innalzati» (Magnificat), non vengono lasciati umiliati. Nell’umanesimo del Magnificat ciò che si loda è il riscatto di chi è stato umiliato e non lasciato nella sua condizione di vittima.

Tornare (o andare) oggi all’economia di Francesco significa prendere sul serio l’«agape», l'amore disinteressato. La sua fraternità non è quella del sangue, ma l’incontro di due o più «agape». 

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di Sant'Antonio il 28/10/2020

L’amore è uno, ma gli amori sono molti. Lo sappiamo tutti, almeno sul piano dell’esperienza. Amiamo molte persone e molte cose, siamo amati da molti, ma in modi diversi. Amiamo i genitori, i figli, le fidanzate e le mogli, fratelli e sorelle, maestre, nonni e cugini, poeti e artisti. E amiamo, molto, gli amici e le amiche. Moltissimo i fratelli, forse ancora di più le sorelle. L’amore umano poi non si limita agli esseri umani. Raggiunge gli animali, tocca la natura intera, sfiora Dio. Il mondo greco, per dire amore aveva due parole principali, erose philia, che non esaurivano le sue molte forme, ma che offrivano un registro semantico più ricco del nostro per declinare questa parola fondamentale della vita. Quel lessico era capace di distinguere il «ti voglio bene» detto alla donna amata dal «ti voglio bene» detto a un amico, e allo stesso tempo riconoscere che il secondo non era né inferiore né meno vero del primo. 

Per individuare i testimoni della fede, dovremmo guardare non alle virtù eroiche, ma alle «beatitudini eroiche» che esprimono valori molto, troppo diversi.

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di Sant'Antonio il 03/12/2023

Quale sia l’etica economica specifica del cristianesimo è questione annosa, poiché è dentro gli stessi vangeli che troviamo il primo pluralismo. Non è mai stato facile, infatti, mettere insieme il «guai ai ricchi» di Luca con la presenza di persone ricche nella comunità di Gesù (Levi, Giuseppe d’Arimatea…), o trovare una coerenza tra la «parabola dei talenti» e quella dell’«operaio dell’ultima ora» del vangelo di Matteo. Ciò che comunque è certo è la differenza, importante, tra l’etica del Vangelo, che è essenzialmente un’etica dell’agape, e l’etica delle virtù di origine greca e romana. Anche se nel corso del Medioevo l’etica cristiana ha incorporato l’etica delle virtù (o viceversa), fondando sulle virtù cardinali l’impianto civile e religioso della cristianità, è pur vero che l’umanesimo alla base del mondo greco e romano non è né quello biblico né quello evangelico, sebbene ci siano punti di contatto. L’antica etica delle virtù si basava sull’idea di eccellenza (areté) in un determinato ambito della vita (politica, sport…), un’eccellenza che può raggiungere chi pratica con impegno le virtù e che genera come suo premio massimo la felicità (eudaimonia), scopo ultimo della vita, come insegnava Aristotele.

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