Le virtù del mercato, MSA

Nella parabola del Figliol prodigo riportata da Luca non si parla della madre. E con lei è assente nella storia qualsiasi sguardo femminile. Se ci fosse stata una madre, la storia sarebbe stata certamente diversa.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 11/11/2024

Le parabole evangeliche sono piene di ispirazioni anche per la vita economica e civile. Pensiamo alla bellissima parabola del Figliol prodigo (o del Padre misericordioso). Luca ci presenta un padre e due figli, un maggiore e un minore. Un uomo benestante, un’azienda famigliare, forse agricola. Il figlio più giovane non vuole continuare il progetto paterno. Lascia, e chiede al padre la sua «parte di eredità». Il padre poteva non dargliela, perché la tradizione ebraica non consentiva a un figlio di chiedere l’eredità con il padre ancora in vita, e perché in quelle culture antiche il padre era il padrone di tutto. E invece lo lascia andar via, con parte del patrimonio di casa. Fa diventare i beni di famiglia patrimonio, cioè il dono (munus) del padre.

Le virtù del mercato - Ci siamo mai chiesti da che punto di vista guardiamo il mondo? Da quello dei ricchi? Oppure da quello dei poveri? Perché, in termini di speranza, ma non solo, fa una bella differenza.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di sant'Antonio il 10/06/2018

Povertà MSA giugno fotolia ridUna virtù particolarmente scarsa nel nostro tempo si chiama speranza. La speranza non è solo una virtù (è anche un dono, come sottolinea il suo essere stata chiamata dai cristiani virtù teologale), ma è ancheuna virtù, perché richiede esercizio, soprattutto per non perderla nei momenti difficili, individuali e collettivi (come è quello che stiamo vivendo ora). E chi ha dubbi che la speranza sia una preziosissima virtù economica, lo chieda agli imprenditori, soprattutto a quelli che hanno superato crisi lunghe e profonde, nelle quali il primo cibo è stata la virtù della speranza, morta e risorta molte volte (si esce vivi dalle crisi quando le resurrezioni sono una in più delle morti).

Ogni esperienza religiosa ha in sé una dimensione di consumo. Non si va in chiesa, e non vi si andava nei secoli passati, soltanto per adempiere a un obbligo morale, per la paura dell’inferno o per non essere discriminati dai propri compaesani.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 02/05/2025

Il linguaggio dell’economia, qualche volta, può aiutare a capire fenomeni che con l’economia non hanno molto a che fare. La religione, e in generale le fedi, sono tra queste realtà che rivelano qualcosa di se stesse se fatte parlare nella lingua dell’economia. Ogni esperienza religiosa ha in sé una dimensione di consumo. Non si va in chiesa, e non vi si andava nei secoli passati, soltanto per adempiere a un obbligo morale, per la paura dell’inferno o per non essere discriminati dai propri compaesani. Ci si recava alle funzioni anche perché ci piaceva e ci piace immergerci per un’ora in un’atmosfera positiva, appagare gli occhi con i quadri dei santi, della Madonna e di Gesù, toccare le statue di sant’Antonio e santa Rita, respirare l’odore dell’incenso. E poi ci piacevano moltissimo le processioni, i canti, i baldacchini, gli spari, le viae crucis quando tutti piangevamo e ci riconoscevamo in Gesù, anche noi crocifissi alle nostre croci, e un po’ risorgevamo con lui. In una vita breve, triste e povera, le Messe e le funzioni erano i nostri beni di lusso: entravamo in quei luoghi bellissimi, e ci sentivamo, per un po’ di tempo, quasi come i ricchi e i signori. Consumavamo anche noi emozioni, beni relazionali, beni di comfort, musica, arte, canti, eucarestia.

Oggi è più che mai urgente re-inventare la vita adulta, schiacciata da una gioventù e una vecchiaia artificialmente sempre più lunghe. Finché non si lavora davvero non si è pienamente adulti, perché non inizia effettivamente l’età della responsabilità.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 02/02/2023

Il nostro tempo sta conoscendo un nuovo protagonismo dei giovani, che stanno facendo in molti Paesi cose straordinarie. Sono giovani e adolescenti insieme, e la presenza dei teenagers è una grande novità rispetto all’analogo Sessantotto. Dai «Fridays for future» alle giovani iraniane e afgane, a «Economy of Francesco», fino ai giovani di «Ultima generazione», che imbrattano con vernice lavabile quadri e palazzi per ricordare che i potenti hanno imbrattato, con vernice indelebile, il pianeta e il loro futuro. Giovani meravigliosi, che ci stanno salvando, eppure non vogliamo prenderli abbastanza sul serio. Perché la nostra cultura capitalistica ama la giovinezza, ma ama poco i giovani.Così, mentre apprezza sempre più i valori associati alla giovinezza – bellezza, salute, energia… – capisce sempre meno e disprezza i valori, che pur sono fondamentali, della vecchiaia, che cerca in tutti i modi di allontanare dal suo orizzonte, che così si abbuia e si intristisce. Perché una civiltà che non valorizza gli anziani e non sa invecchiare è stolta come lo è quella che non capisce e valorizza i veri giovani: la nostra generazione è la prima che sta sommando tra di loro queste due stoltezze.

Il talento civile o lo «spirito» di un Paese, dei suoi governanti e della sua gente, sta nel saper creare un orgoglio e una speranza civile veri a partire da segni reali presenti nel passato.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 03/02/2025

L’Economia civile, la cui stagione d’oro è stata il Settecento napoletano e il cui capostipite l’abate salernitano Antonio Genovesi, è l’anima più vera e profonda della nostra economia e società.Nelle Lezioni di Economia civile, pubblicate da Genovesi tra il 1765 e il 1769, leggiamo pagine molto importanti sull’Italia e sul suo Meridione, che sembrano scritte non ieri, ma domani: «I Greci chiamavano la Magna Grecia e molte altre provincie di questo Regno, il paese del vino; ma potevano anche chiamarlo il paese de’ grani, e non solo di frumento, ma d’ogni altro genere. La Sicilia era il granaio di Roma, e ora è di molti popoli. I suoi vini sono il nettare che bevono le migliori tavole non solo degl’Inglesi, ma de’ Francesi altresì, ancorché superbi del loro Borgogna. Paesi di seta, e oggi quasi i soli seri di Europa. Paesi di bambagia, la quale, per confessione di tutti, è la migliore del globo terraqueo; paesi di lana, di lino, di canape, d’ogni sorta di animali; paese di caci, di manna ecc. ecc. ecc., paese di grand’ingegni...» (p. 325).

Le comunità devono fare i conti con un paradosso che nasce quando si mettono insieme liberta personale e adesione al "gruppo". Come uscirne? Inventando nuove forme di libertà...

di Luigino Bruni

Pubblicato su Il Messaggero di S.Antonio il 09/10/2018

Per le misure contro la povertà si dovrebbero ascoltare i poveri veri, oppure i loro rappresentanti «per vocazione», che si affianchino ai tecnici e ai politici che la povertà la conoscono quasi sempre per sentito dire.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 04/01/2019

Sono stato recentemente ad Assisi, e sono passato a San Damiano, dove si ricorda che «qui il Signore parlò a Francesco». Le vocazioni hanno sempre un luogo e un tempo esatti, sono infinitamente concrete, e orientate a un compito: «Qui, il 20 maggio 1986, incontrai tua madre»; «qui, il 26 agosto del 1990, sentii la chiamata»… All’inizio Francesco pensò che «la chiesa» da riedificare fosse la chiesetta diroccata di San Damiano; solo col tempo si capì che la chiesa da riedificare era in realtà la Chiesa di Cristo. Un fenomeno che si ritrova in molte fondazioni carismatiche e profetiche: si inizia con un compito concreto e puntuale, e poi si capisce che ciò che era oggetto della chiamata era molto diverso.

La pietà popolare è stata un immenso esercizio collettivo di sovversione, soprattutto di donne. Fu, a modo suo, un meraviglioso inno alla vita, la risposta popolare alle idee teologiche sbagliate.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 10/06/2024

«In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito». Questa è una celebre frase dell’Introduzione di Fontamaradi Ignazio Silone, uno dei romanzi più belli e importanti del Novecento italiano. «Cafone» è una parola che Silone usava in un significato diverso da quello comune. Era il nome dei contadini della piana del Fucino e, in generale, un nome con cui lo scrittore indicava gli oppressi e i dimenticati della terra. Una parola di dolore, certo, ma mai usata da Silone in senso dispregiativo, in modo da suscitare vergogna. E invece il dolore è ancora oggi causa di vergogna, soprattutto nei poveri. La mia famiglia ha conosciuto la povertà. L’hanno conosciuta i miei nonni, e la sua eco viva è giunta fino a me. Da questa eco nascono le mie parole sulla povertà, sull’economia, sulla teologia. 

l mondo degli ordini religiosi non è sovrapponibile al mondo delle imprese. Eppure, soprattutto nei momenti di difficoltà, esistono delle analogie...

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 29 luglio 2020

«Noi suore della generazione di mezzo saremmo felici di dedicare il resto della nostra vita a occuparci delle suore anziane, in modo da liberare le suore giovani dal grande peso che comporta la cura di una congregazione così anziana». Queste parole me le ha dette la Madre Generale di una congregazione, qualche giorno fa. Una generosità che mi ha commosso, e poi mi ha stimolato una riflessione di carattere più generale sul presente e sul futuro degli ordini religiosi della Chiesa.

Se vogliamo riavvicinare lo spirito moderno al messaggio di vita di Gesù, dobbiamo operare una purificazione del linguaggio teologico, iniziando da quello economico e commerciale.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 12/07/2024

Il primo a usare la metafora economica nel Nuovo Testamento fu san Paolo che, nella Prima lettera ai Corinzi, utilizza addirittura la parola prezzo: «Siete stati comprati a caro prezzo» (7,23).Poiché Paolo è un gigante della teologia cristiana, molti teologi da allora in poi pensarono che non si potesse parlare di teologia senza usare la metafora del «prezzo della salvezza». San Paolo, però, nelle sue lettere usa anche altre metafore, tra cui quella sportiva (cfr. 1Cor 9,24-26). Eppure nessun teologo del passato e del presente ha mai pensato che tale metafora fosse necessaria per spiegare la teologia cristiana. Invece, dalla metafora economica è discesa una vera e propria «economia della salvezza», che giustificherebbe l’esistenza di una specie di contratto con prezzi da pagare e da riscuotere, e vedrebbe Gesù come un «divin mercante». Dimenticando che le metafore bibliche sono sempre aurora di discorso, punti di partenza. L’altra metà del ragionamento deve restare non detta: solo le metafore parziali lasciano uno spazio libero tra il mistero di Dio e le nostre idee teologiche su di lui

Se non si impara a casa, e nei primi anni di vita, il valore della gratuità, da adulti saremo mossi solo dal denaro e non saremo buoni lavoratori. Lasciamo gli incentivi e le paghe ai grandi, e proteggiamo i nostri piccoli dall’impero del denaro.

di Luigino Bruni

pubblicato il 04/02/2024 su Il Messaggero di Sant'Antonio

La paghetta dei ragazzi e delle ragazze è un tema controverso, e sotto vari aspetti. Spesso è un’espressione che accomuna fenomeni molto diversi tra di loro. In senso stretto, la paghetta è una somma di denaro – settimanale o mensile – che i genitori consegnano a un figlio/a che non ha un reddito proprio, perché lo usi per le sue spese ordinarie. In genere, la paghetta si riferisce a ragazzi/e adolescenti o pre-adolescenti, non a bambini e non a studenti universitari. Una seconda confusione riguarda poi l’accomunare la paghetta e l’incentivo monetario nei vari «lavoretti» dei figli. Perché dare un tot di euro alla settimana come paghetta è diverso dalla creazione di una sorta di mercato familiare dove i vari servizi domestici sono associati a un prezzo: 3 euro per sparecchiare, 4 per lavare i piatti, ecc... I due strumenti – paghetta e incentivo – possono coesistere in famiglia, ma l’uno può sussistere anche senza l’altra, e viceversa.

Oggi dovremmo prendere la parte ancora viva del cristianesimo e inculturarlo nel nostro tempo post-cristiano, che non capisce più i linguaggi della fede, ma che li capirebbe con una adeguata operazione culturale e narrativa.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 03/03/2023

La cristianità, cioè la civiltà cristiana, non è nata solo dal Vangelo. È stata il risultato di una ibridazione tra vangeli, Bibbia, cultura greco-romana, civiltà italiche ed europee, e poi longobarda, nordica, slava, bizantina, araba. L’Europa cristiana è il frutto di questo meticciato, molto più ricco e variegato delle sole teologia o fede cristiana. La pietà popolare è un intreccio di molti fedi e tradizioni, le processioni hanno progressivamente preso il posto delle processioni pagane dedicate agli dèi dei campi e della natura. La grande maggioranza di italiani ed europei pre-moderni non aveva alcuna idea di che cosa fosse la Trinità, della differenza tra Gesù e Dio Padre, di quella tra Gesù, la Madonna e i santi: erano tutte divinità da cui, credeva, dipendesse la vita. Nelle loro feste gli antichi europei e italiani continuavano a cantare le solite canzoni dietro baldacchini che avevano solo cambiato la statua trasportata, e a volte neanche questa.

Come insegnare l'uso corretto del denaro ai figli? Ecco quattro regole che potrebbero risultare utili in famiglia...

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di Sant'Antonio il 04/12/2022

L’uso del denaro all’interno delle relazioni primarie è sempre molto delicato, soprattutto in famiglia, dove nel gioco monetario entrano i bambini, i ragazzi e gli adolescenti. Potrebbe essere utile seguire quattro regole, suffragate dalle ricerche della scienza economica e dalla pratica.

Una delle grandi novità introdotte nel Novecento dal capitalismo di matrice Usa è stata la sovranità del consumatore. Oggi però il consumo sta cambiando natura, perché è cambiato il mercato.

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di Sant'Antonio il 01/10/2023

C’è un aspetto della nostra società capitalistica che non è ancora sufficientemente discusso dagli economisti e dai filosofi. Mi riferisco all’assolutizzazione della categoria di consumatore. Una delle grandi novità introdotte nel Novecento dal capitalismo di matrice Usa è stata la sovranità del consumatore.All’inizio, soprattutto nel primo dopoguerra, l’arrivo di questo nuovo protagonista della vita civile fu accolto come una buona novità, e in parte lo era. Il consumo nei mercati, il consumare, fu visto come una forma della libertà dei moderni, che creava nuove opportunità e nuove uguaglianze: anche se sono un operaio, se non ho studiato, anche se non sono di buona famiglia, anche se non faccio parte dell’élite, quando entro in un negozio con il denaro posso acquistare la stessa automobile dei signori. Nel momento dell’acquisto mi sento uguale ai capi e ai ricchi, non mi sento secondo a nessuno. Questa prima stagione del consumo di massa è stato un passaggio importante della democrazia, prima in Occidente e poi in tutto il mondo (oggi questi fenomeni sono importanti soprattutto in Africa e in Asia). Il denaro non odora neanche di classe sociale: non saprò parlare in modo elegante e forbito, sono figlio di contadini, ma quando vengo nel tuo negozio mi devi trattare con la stessa dignità con cui tratti i signori.

Un sistema sociale che premia chi è già capace non fa altro che lasciare sempre più indietro i meno capaci, che in genere non sono tali per demerito, ma per le condizioni di vita.

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di Sant'Antonio il 04/06/2023

Le dimissioni del senatore Carlo Cottarelli perché, tra l’altro, non vedeva il suo partito abbastanza deciso nel sostenere la meritocrazia, ha posto di nuovo l’attenzione sul significato e sull’ideologia del merito nel nostro tempo. Merito è sempre stata una parola ambigua, perché profondamente legata al fascino che il merito esercita su tutti noi. Tutti vorremmo meritarci i nostri successi (meno meritarci gli insuccessi), nessuno ama pensare che la bella carriera che ha fatto sia frutto soltanto della fortuna e di raccomandazioni.

Se vogliamo avere un rapporto giusto con il lavoro dobbiamo ricordarci che prima sono l’uomo e la donna a nobilitare il lavoro con la loro presenza, con le loro mani e con la loro intelligenza.

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di Sant'Antonio il 06/07/2023

Le crisi ambientali, finanziarie e militari di questo inizio di millennio, talmente gravi da non poter essere ignorate, rischiano però di farci sottovalutare o dimenticare una triplice crisi di cui si parla troppo poco: la crisi della fede, delle grandi narrative e del generare. Un mondo che non attende più il paradiso, che ha dimenticato le narrative collettive e che non mette al mondo figli, non trova più un sufficiente senso per vivere e quindi per lavorare. Le cosiddette «grandi dimissioni» di milioni di lavoratori, giovani e di mezza età, che lasciano il lavoro senza averne un altro, hanno certamente molte ragioni, ma una sta diventando quella dominante. È la mancata risposta a una domanda cruciale: «Perché dovrei lavorare, se non spero più in una terra promessa (sopra o sotto il cielo), se non ho nessuno che dal mio lavoro spera in un presente e un futuro migliori?».

Possiamo comprare alcune felicità: la gioia di vivere no, è gratuità pura, ed è la più bella. Arriva spesso, quasi ogni giorno. Siamo noi che dobbiamo imparare a riconoscerla, a farle spazio.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 02/10/2024

La felicità è la grande promessa della nuova economia di mercato. Ieri ci prometteva il benessere, oggi la felicità. Ce la promette in molti modi, per ultimo con l’intelligenza artificiale che, finalmente, facendo meglio di noi tutto ciò che non ci piace e nuove cose che non facciamo ancora, ci donerà la perfetta felicità. Una felicità che ha a che fare con l’avere, con il comfort, con la libertà di scelta, con la crescita, con il «di più», e spesso confina con il divertimento e con il piacere. Alcune di queste felicità commerciali sono anche buone, ci piacciono e magari ci fanno anche un po’ bene.

La prima regola di ogni economia è l’equilibrio tra entrate e uscite. Una buona economia parte dalle entrate e su queste regola le uscite. Peccato che nel nostro Paese ultimamente non vada proprio così...

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di Sant'Antonio il 07/09/2023

Un giorno, cercando pigramente qualcosa di interessante tra i canali tv, mi sono imbattuto in un programma sui grandi hotel italiani. Un gruppo di persone si faceva ospitare in questi hotel di lusso, per fare poi una valutazione dei vari servizi offerti. Ciò che mi ha colpito è la totale assenza in questa trasmissione della dimensione del cosiddetto «vincolo di bilancio»: questi signori-valutatori ordinavano cene, servizi vari, senza mai preoccuparsi del loro prezzo, come se vivessero in un mondo nel quale il costo di un servizio e di una merce non fosse un elemento importante per la scelta. Le famiglie normali guardano questi programmi, poi si imbattono nella pubblicità di prestiti facili, che ha (purtroppo) per protagonista un simpatico volto delle nostre fiction, e così non è difficile mettere insieme i pezzi. Pensare cioè che quella vita fatta di vacanze in hotel stellari in un mondo senza vincoli di bilancio familiare diventa possibile e facile grazie a prestiti facilissimi di persone e istituti finanziari simpatici che sono lì solo per la nostra felicità.

Se la scuola inizia a distinguere gli studenti in leader e follower, mina uno dei pilastri dell’educazione: la riduzione in classe delle diseguaglianze naturali e sociali per creare quella comune cittadinanza essenziale a ogni patto sociale.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 04/05/2024

Leadership è diventata parola sacra della nuova religione del capitalismo. La si invoca ovunque. Anche gli ambienti ecclesiali – dove si incontrano corsi sulla leadership di Gesù, di san Benedetto e persino di san Francesco – ne sono ammaliati.Nonostante il fondatore del Cristianesimo abbia detto: «Non vi fate chiamare guide (cioè leader), perché una sola è la vostra guida» (Mt 23,10), e poi costruito tutto l’umanesimo cristiano attorno al concetto di sequela, che è l’esatto opposto della leadership. E invece, pur moltiplicandosi gli aggettivi (inclusiva, gentile, comunitaria …), il sostantivo, leadership, non viene mai messo in discussione. 

Pensiamo, ogni tanto, alla felicità, ma soprattutto pensiamo alla verità, alla bontà e alla giustizia della vita, nostra e di quella degli altri.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 06/09/2024

La felicità è troppo poco. Sembra una frase, questa, totalmente stonata in un tempo come il nostro, che ha fatto della felicità l’ideale più grande, a volte unico, della vita. Cercare la propria felicità, o la propria realizzazione, è diventato un imperativo etico, e chi prova, come faccio anche io da anni, a metterlo in discussione, appare bizzarro o magari depresso.«Cerca di essere finalmente felice…» è diventata così una delle frasi più sentite e che sembrano pure convincenti. Ma, in realtà, le cose sono più complicate. Innanzitutto, non è vero che la felicità è una realtà nuova. I greci, pensiamo ad Aristotele, l’avevano messa al centro del loro umanesimo, perché per quei filosofi antichi non c’era nulla di più degno e nobile della felicità (eudaimonia), definito il fine ultimo, il bene perfetto oltre il quale non vi era nulla che valesse.

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