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La buona vulnerabilità della vita

La generatività in tutti gli ambiti ha un bisogno vitale di libertà, di fiducia, di rischio, tutti elementi che rendono vulnerabile chi concede queste libertà e questa fiducia

di Luigino Bruni

pubblicato su Città Nuova Nuova il 06/10/2020

La vulnerabilità è anche una parola buona della vita. La vulnerabilità (da vulnus: ferita), come molte altre parole vere dell’umano, è infatti ambivalente, perché la buona vulnerabilità convive accanto a quella cattiva, e spesso le due sono intrecciate tra loro.

La vulnerabilità buona è quella iscritta in tutte le relazioni umane generative, dove se non metto l’altro nella possibilità di “ferirmi”, la relazione non raggiunge la profondità per essere feconda. Questa buona vulnerabilità è anche l’antidoto per proteggersi dalla cattiva vulnerabilità, perché un mondo che aspira all’ideale della vulnerabilità zero è un mondo altamente vulnerabile. Perciò la fiducia è una relazione radicalmente vulnerabile. Quando una persona si fida di un’altra, mette nelle sue mani qualcosa di proprio di cui l’altro può disporre e persino abusare. La radice di quella gioia speciale che proviamo quando qualcuno ripone in noi la sua fiducia sta proprio in questa esposizione di colui che ci dona la sua fiducia, perché sentiamo che ci ha chiesto di custodire qualcosa di prezioso che riguarda la sua persona, la sua intimità, il suo mistero. Questa condizione di vulnerabilità cresce con il valore di quel “qualcosa” che mettiamo nelle mani dell’altro. La vulnerabilità ha anche il suo valore e delle proprietà tipiche che cambiano la natura di un rapporto, in genere migliorandolo. Quando chi compie un atto di affidamento, fa di tutto per ridurre, e possibilmente annullare, il rischio di abuso e tradimento intrinseco alla fiducia, finisce per ridurre e azzerare il valore di quel bene relazionale. Molti rapporti si interrompono sul nascere, perché la volontà di escludere futuri abusi crea un contesto di diffidenza che impedisce al rapporto di iniziare. La fiducia invulnerabile non è un bene ma un male.

Lo vediamo nei confronti del coniuge, dei figli, dei colleghi, degli amici, che amiamo e dai quali siamo amati finché siamo capaci di fidarci di loro – e loro di noi – senza avere garanzie assolute sulla loro reciprocità, sebbene da essa dipendiamo per la nostra felicità. In molti rapporti la fiducia è un incontro di beni relazionali, non necessariamente simmetrici. La generatività in tutti gli ambiti ha un bisogno vitale di libertà, di fiducia, di rischio, tutti elementi che rendono vulnerabile chi concede queste libertà e questa fiducia. La vita è generata da rapporti aperti alla possibilità della ferita relazionale. Non aiuteremmo nessun bambino a diventare una persona libera senza concedergli una fiducia vulnerabile, nelle famiglie, nelle scuole, nei molti luoghi educativi. E da adulti non riusciamo a fiorire nei luoghi di lavoro e della vita senza ricevere e dare fiducia rischiosa e vulnerabile. Generiamo gli altri donando loro fiducia vulnerabile, e gli altri ci generano ogni giorno fidandosi di noi ed esponendosi al rischio della ferita. In mezzo a queste due fiducie vulnerabili c’è tutta l’arte della vita in comune.

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