L'anima e la cetra

L’anima e la cetra/12 - Il Signore sta dalla parte della liberazione non della condanna

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 14/06/2020

"Urlate, urlate, urlate! Oh, siete fatti di sasso! Se avessi io le vostre lingue e i vostri occhi, li userei in maniera che la volta del cielo si squarcerebbe"

William Shakespeare, Re Lear

Il Salmo 22, una delle vette poetiche e spirituali della Bibbia, è anche il pentagramma su cui è stata scritta la sinfonia della passione di Cristo. E ci aiuta a comprendere qualcosa dei crocifissi e del loro mistero.

Un uomo è perseguitato, torturato, umiliato, disprezzato da altri uomini. Sente la morte molto vicina. Quell’uomo è innocente – come tanti altri, ieri e oggi. Sa di non meritare quel grande dolore, quella violenza, quelle umiliazioni – e chi le merita? Ma quell’uomo, oltre a essere un giusto sofferente e umiliato, è anche un uomo di fede. E lì, in quella notte buissima, forse in un carcere, sopra un mucchio di spazzatura o dentro una cisterna, nasce una preghiera, gli affiora nell’anima un ultimo canto disperato. Che inizia con parole che vanno incluse tra le più preziose, tremende e stupende della Bibbia, tra le più tremende e stupende della vita: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Salmo 22,1). Una vetta poetica, spirituale e antropologica del Salterio, forse quella più alta. 

L’anima e la cetra/11 - La doppia bellezza dei capolavori di Dio: le leggi del creato e per l’uomo

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 06/06/2020

"Chi sa se il deserto che lasceremo, un giorno, non avrà questa voce, questo lamento umano del vento, infinitamente ripetuto: mah-‘enòsh? Che cos’è un uomo? Che cosa fu l’uomo? Che cosa è stato essere uomo?"

Guido Ceronetti, Il libro dei salmi

Il Salmo 19 parte dal firmamento, cantore della gloria divina, e termina con le colpe inconsce, per dirci che un rapporto risanato ha lo stesso valore di una galassia.

"I cieli narrano la gloria di Dio, l'opera delle sue mani annuncia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il racconto e la notte alla notte ne trasmette notizia. Senza linguaggio, senza parole, senza che si oda la loro voce, per tutta la terra si diffonde il loro annuncio e ai confini del mondo il loro messaggio" (Salmo 19,2-5). I cieli narrano.La Bibbia è tutta parola, è tutta narrazione; è custodew della parola di Dio detta in parole umane. È gelosa sentinella di racconti straordinari e diversi, dove le parole sono state capaci di dire l’indicibile, farci sognare Dio fino a quasi vederlo. 

L’anima e la cetra/21 -Non si può credere senza stimare tutta l’umanità, nulla e nessuno escluso

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 23/08/2020

"Il libro dei Salmi sovrasta tutti gli altri perché riassume quello che gli altri contengono e nel canto aggiunge ciò che ha di suo e di proprio. Altri libri contengono la Legge, annunciano il Messia; questo libro descrive i movimenti dell’anima".

Anastasio Epistola a Marcellino(IV sec. d.C.)

La fiducia e la fede sono parole sorelle. Senza l’una non c’è l’altra, e la fede è un rapporto segnato dalla vulnerabilità. Il Salmo 91 ci parla della natura della fede in quanto fiducia.

La fiducia è una relazione radicalmente vulnerabile. Quando una persona si fida di un’altra mette nelle sue mani qualcosa di proprio di cui l’altro può disporre e persino abusare. Sta in questa esposizione di colui che dà fiducia la radice di quella gioia speciale che proviamo quando qualcuno ripone in noi la sua fiducia, perché sentiamo che ci ha chiesto di custodire qualcosa di prezioso che riguarda la sua persona, la sua intimità, il suo mistero, anche quando passa attraverso semplici cose materiali. Questa condizione di vulnerabilità cresce con il valore di quel "qualcosa" che si deposita nelle mani dell’altro, nel "palmo della sua mano". Una vulnerabilità che ha anche un suo valore, ha delle proprietà tipiche che cambiano e in genere migliorano la natura di un rapporto. Mostrare all’altro la mia vulnerabilità, rendergliela intenzionalmente evidente, mentre ci rende più deboli ci rende anche più forti, grazie alla dimensione trasformativa della fiducia vulnerabile. La prima e più importante garanzia che chi ha ricevuto fiducia la onori sta nel suo sentirsi onorato dallo stesso atto di fiducia – troppi debiti non vengono onorati perché la nostra finanza invece di onorare il debitore lo umilia. 

L’anima e la cetra/19 - Nella prova arriviamo a dire al Padre: “Sii fedele, ricordati di te”

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 02/08/2020

"Solo la parola dell’uomo in risposta alla parola di Dio, che in sostanza è un "no", attesta la libertà umana. Per questo la libertà di negare è il fondamento della storia"

Jacob Taubes,Escatologia occidentale

L’esilio è il tempo nel quale, seduti sulle rovine della “prima promessa”, possiamo chiedere a Dio e a noi stessi di diventare più grandi della reciprocità.

La reciprocità è la benedizione e la maledizione dei nostri patti e delle nostre promesse. Siamo impastati di reciprocità, la desideriamo e la speriamo dopo i nostri doni, l’attendiamo sotto forma di stima dopo aver consegnato l’opera del nostro lavoro, e nessun amore riesce a fiorire in pienezza se ad un certo punto non diventa amore reciproco. Quando il cristianesimo volle sintetizzare il messaggio di Gesù in un’unica legge non trovò nulla di meglio di un comando di reciprocità – "amatevi gli uni gli altri". Nell’umanesimo cristiano l’amore è ancora imperfetto finché non produce altro amore in ritorno. L’agape, nel suo dover-essere, è amare ed essere amati. Questo sigillo di mutualità iscritto, indelebile, nel cuore della persona e delle comunità, genera un’indigenza radicale di riconoscenza e di riconoscimento, e quindi di attese e aspettative di reciprocità che non di rado sfiorano la pretesa. Non controlliamo la stima degli altri né la loro gratitudine, ma senza ci sentiamo parziali, insoddisfatti e incompiuti. 

L’anima e la cetra/9 - Il Figlio dell'Uomo quando tornerà vedrà nei rapporti umani se «Dio c’è»

 di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 24/05/2020

"In questo Spirito che è l’amore tra il Padre e il Figlio, tra il Figlio e noi, tra noi e noi, quanti abbiamo un’anima, in questo Spirito che è il nostro amore, sta tutta la nostra salvezza: gettata nel suo fuoco, la nostra salvezza umana diventa la nostra divina pazzia. Oh fosse così, oh sia così".

Giuseppe de Luca, L’intelligenza e la salvezza dell’anima

Anche la domanda sull’esistenza di Dio è ammessa dalla Bibbia. Il Salmo 14 ci aiuta a capire che l’ateismo devoto è una malattia e che smettere di cercare Dio è perdere l’uomo.

«Il cuore degli ottenebrati parla così: "Dio non c’è". Il Signore dal cielo si affaccia e si china sui figli dell’uomo per vedere se c’è un uomo saggio, uno che cerchi Dio» (Salmo 14, 1-2). Un inizio originale per un salmo unico nel salterio. Un inizio speciale perché speciale è la posta in gioco. È infatti la sola volta che nella Bibbia troviamo scritto: Dio non c’è. Anche il mondo religioso antico conosceva il dubbio che gli dèi fossero una invenzione dell’uomo. L’uomo biblico è più vicino a noi di quanto pensiamo e scriviamo. Anche la domanda sull’esistenza di Dio tra le domande legittime della Bibbia. 

L’anima e la cetra/8 - I profeti prestano parole a chi deve difendersi dai padroni di tutte le parole.

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 17/05/2020

"Ogni riga era irta di parole di molte sillabe che egli non comprendeva. Era seduto sul letto e aveva davanti a sé il dizionario che era più grosso del libro… e per qualche tempo accarezzò il progetto di non leggere altro che il dizionario, fino ad essere padrone di tutte le parole che conteneva".
Jack London,
Martin Eden

Il salmo 12 ha per protagonista la parola, anche quella impronunciabile. È uno dei più grandi poteri a disposizione degli esseri umani. Ma anche una delle tentazioni più forti di ogni potere. L’argine dell’impronunciabilità.

Molte povertà sono anche povertà della parola. Una indigenza che impedisce di chiamare per nome il dolore proprio e quello degli altri. Questa povertà narrativa qualche volta precede le povertà materiali e morali, altre volte le segue, sempre le accompagna. I "cafoni" e gli oppressi di ogni tempo sono stati cafoni e oppressi anche e soprattutto per le parole che non sapevano dire e per quelle che dicevano i potenti e che loro non riuscivano e non riescono a capire. Ecco perché ogni povertà che vuole risorgere deve imparare e reimparare a parlare, finché, almeno un povero inizierà a dare un nome ai demoni della propria indigenza. Sta anche qui l’invito bellissimo che ci rivolgevano i nostri nonni: "Luigino studia"; sapevano bene che conoscere le parole dei signori era il primo passo di una liberazione. 

L’anima e la cetra/15 - Il Salmo 42-43 ci aiuta a pronunciare e urlare Dio nel tempo della siccità

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 05/07/2020

"L’invocazione dell’uomo è l’invocazione stessa di Dio. L’uomo prega a immagine e somiglianza di Dio: di chi, se no, in questa che è la più grande delle sue opere? I Salmi sono la preghiera di Dio".

Sergio Quinzio, Un commento alla Bibbia

La sete della cerva è la condizione ordinaria della vita spirituale adulta. L’aridità non è assenza, ma luogo della fede. Eppure non lo sappiamo, finché non accade un “incontro” straordinario…

La qualità spirituale della nostra vita dipende da come usciamo da pochi incontri decisivi. Uno di questi è quello tra il ragazzo che eravamo e l’adulto che siamo diventati. Un incontro che nello sviluppo di una esistenza arriva quasi sempre – dentro un libro che stiamo leggendo, in un sogno, mentre puliamo la stanza o apparecchiamo la tavola. Giunge sempre inatteso, non si fa mai annunciare, non è un incontro per bene, è un guado di un fiume tumultuoso. Ci prende di sorpresa e ci trova impreparati. È sempre un evento decisivo. L’incontro inizia con una domanda tremenda del ragazzo: "Chi sei?". Noi lo riconosciamo subito, perché in lui rivediamo quel volto bambino che non si è mai spento nell’anima. Lui no: per lui siamo uno sconosciuto, siamo troppo cambiati perché quel fanciullo possa riconoscersi in quell’adulto. Quel "chi sei?" risuona in noi come qualcosa di spaventoso, ci toglie il fiato. In quella domanda risentiamo l’eco di quella fatta da Elohim all’Adam ("dove sei?"), rivive la domanda a Caino ("dov’è tuo fratello?"). E noi ancora ci scopriamo nudi, ci vergogniamo, non riusciamo a rispondere né vogliamo farlo. Se abbiamo salvato qualcosa dell’innocenza dell’infanzia quella domanda può farci quasi morire. Poi in un attimo rivediamo tutta la nostra vita e ci nasce una infinita struggente nostalgia di purezza, di verità e di tutte quelle parole prime che sentiamo perse per sempre. 

L’anima e la cetra/5 - Il domani viene nell’innocenza, benedice l’oggi e gli cambia il nome

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 26/04/2020

Della prosperità dei giusti la città si rallegra, per la rovina dei malvagi si fa festa. La benedizione degli uomini retti fa prosperare una città, le parole dei malvagi la distruggono.

Libro dei Proverbi, capitolo 11

È sempre forte in noi la tentazione di applicare a Dio le nostre idee economiche e giuridiche di giustizia. Ma la Bibbia ci ricorda la gratuità.

«Porgi l’orecchio, Signore, alle mie parole: penetra nel mio bisbiglio. Sii attento alla voce del mio grido, o mio re e mio Dio, perché te, te supplico Signore» (Salmo 5, 2–3). Un uomo innocente è accusato di un delitto. Ha cercato di difendersi, invano. Ha esaurito i gradi di giudizio della giustizia umana. Gli resta ancora il Giudice di ultima istanza. Si alza di buon mattino, anticipa il sorgere del sole, si reca nel tempio per presentare a Dio la sua “causa”. Riesce solo a bisbigliare poche sillabe, a emettere un sussurro con le ultime energie morali che gli sono rimaste: «Al mattino ascolta la mia voce; al mattino ti espongo la mia causa e resto in attesa...» (4). Penetra nel mio bisbiglio. In queste ultime udienze della vita resta solo il fiato per un bisbiglio. Non ci sono preghiere più umane dei sussurri sottovoce mescolati col pianto. Il sussurro dell’uomo umiliato e straziato è la forma pura della preghiera che commuove il cielo e la terra. Ed è la più bella preghiera laica e umanissima che ci possiamo dire gli uni agli altri, quando solo chi è capace di sussurrare tra il cuscino, il ventilatore e il cuore può penetrare bisbigli preziosi come la vita. 

L’anima e la cetra/22 - Come Dio anche noi, almeno una volta, possiamo amare chi non lo merita

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenireil 30/08/2020

«I preti non possono accettare regali», disse don Paolo. La donna protestò: «Allora non vale», ella disse. «Se non accettate la gallina, la grazia non vale, e il bambino nascerà cieco». «La grazia è gratuita», disse don Paolo. «Le grazie gratuite non esistono», rispose la donna.

Ignazio Silone,Vino e pane

La Bibbia ci insegna a ringraziare, per la salvezza che riceviamo, tutta gratuità e non dataci per i nostri meriti. 

Gratitudine è una parola essenziale. È parola prima nella famiglia, nelle comunità, meno nelle imprese moderne, dove la gratitudine con le sue parole gemelle riconoscenza e ringraziamento non trova lo spazio che meriterebbe a causa della sua fragilità. Gratitudine – da gratiacharis – è molto imparentata con il "grazie", una parola che impariamo dai genitori da bambini e che poi non esce più dai nostri rapporti. Anche quei "grazie" che diciamo, più volte al giorno, per rispetto delle norme sociali, portano qualche traccia della gratitudine, che però si manifesta più pienamente in altri "grazie", quelli attesi e desiderati, non pretesi. Sono quelli decisivi nei rapporti più importanti, quelle gratitudini delicate, più femminili che maschili, più sussurrate che dette, che arrivano nei momenti cruciali della vita. Il grazie di quel collega nell’ultimo giorno di lavoro, uguale e diverso da tutti gli altri, scritto nel biglietto con il regalo di addio. Quello dello studente con più difficoltà, che nell’ultimo giorno di scuola ti lascia sulla cattedra un post-it: "Grazie prof"; o quello che nel giorno della partenza da casa, per seguire una voce, non siamo riusciti a dire ai genitori perché rimasto strozzato in gola, e che poi molti anni dopo abbiamo scoperto essere simile a quei grazie ineffabili che vengono sussurrati ogni giorno nei capezzali. 

L’anima e la cetra/2 - I miti conoscono i limiti, e questo tempo tremendo diventa la loro eredità.

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 05/04/2020

"C’è qualcosa di grandioso nel vivere nella speranza, ma allo stesso tempo c’è in esso qualcosa di profondamente irreale. Diminuisce il valore specifico dell’individuo, che non può mai realizzarsi pienamente, perché l’incompletezza segna le sue imprese".

Gershom Scholem L’idea messianica nell’ebraismo

Il salmo 2 ci porta dentro il grande tema biblico dell’attesa del Messia, e quindi nell’importanza della speranza nei tempi della crisi e della mansuetudine per attraversarla con fortezza.

 «Perché le genti sono in tumulto e i popoli cospirano invano?». Con questa domanda inizia il Salmo 2. Una domanda tremenda che i profeti e i sapienti ripetono da millenni: perché nonostante la vocazione alla pace e al benessere iscritta nel cuore di ogni persona e delle comunità, gli uomini continuano a esercitarsi nell’arte della guerra, a seminare e coltivare discordia e inimicizia? Le civiltà restano vive finché non si stancano di ripetere questa domanda. 

L’anima e la cetra/14 - Sapersi <rannicchiare> in Dio come suoi figli, capire la vera benedizione

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 28/06/2020

"Ogni parola è parola parlata. Originariamente il libro sta solo al suo servizio, al servizio della parola fatta suono, cantata, pronunciata."

Franz Rosenzweig, La scrittura e la parola

La Sapienza, ci rende chiaro il Salmo 37, è l’apprendimento della postura umana con la quale guardare la giustizia e l’ingiustizia, per imparare la mitezza.

«Per i seguaci di storture, non t’inquietare, i fabbricanti di falsità non invidiare... Se in qualcuno vedi la via storta riuscire, non t’indignare» (Salmo 37,1-7). Siamo dentro uno scenario di tentazione. Quella dei giusti, poveri a causa della loro giustizia, circondati da empi che invece ottengono successo e ricchezza. Un tema classico della letteratura biblica sapienziale, al centro della Bibbia, della storia, della vita. Sono le domande di Giobbe, di Qoelet, le domande dei poveri e delle vittime, sono le nostre domande. È sempre stato molto difficile, a volte troppo, perseverare in una vita che pensiamo essere giusta quando i nostri guai aumentano e la prosperità di coloro che crediamo essere iniqui cresce. Qualche volta ci sbagliamo, ci crediamo più giusti di quanto siamo realmente. Altre volte invece non ci sbagliamo, chi "sbaglia" è semplicemente la vita; chi sbaglia, iniziamo a pensare, è Dio. 

L’anima e la cetra/30 - La libertà vera è dalla miseria, non dalla «perfetta letizia» della povertà

 di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 25/10/2020

"I giusti, nei quali il Signore ha creato il disperato bisogno della gioia, avranno la gioia."

Sergio Quinzio, Un commento alla Bibbia

C’è una gioia diversa che può nascere solo da una certa povertà. I salmi e i profeti lo sanno bene, e la liturgia ce lo ricorda ogni giorno.

La gioia non è soltanto un bisogno disperato di ogni essere umano, è anche un diritto. Un diritto alla gioia che non è scritto in nessuna Carta costituzionale ma nell’anima delle persone e dei popoli. Un diritto fondamentale che va difeso soprattutto durante i tempi delle grandi crisi, quando è minacciato fino a negarlo. Ogni impero, non solo quello egiziano al tempo di Mosè, cerca di negare il diritto alla festa dei suoi sudditi, perché troppo forte è la tentazione di negare il diritto alla gioia per uccidere la speranza in un altro futuro: non ci riesce mai del tutto, ma ci prova sempre e tenacemente. Ma esiste anche un dovere alla gioia, ed è un dovere essenziale. Perché quando in una comunità o in una società sparisce la gioia, con essa sparisce la speranza e la fede nella vita. C’è, qualche volta, più agape nel custodire l’ultima gioia che nell’amare il dolore, perché una gioia custodita dall’avanzare della tristezza degli anni e degli eventi è un bene collettivo, è una benedizione per tutti, è l’annuncio tenace che siamo più grandi del nostro destino. 

L’anima e la cetra/4 - Capire il peso di Dio e la gloria dell’uomo

di Luigino Bruni

 Pubblicato su Avvenire 19/04/2020

Chiuso
fra cose mortali
(anche il cielo
stellato finirà)
perché bramo Dio?

Giuseppe Ungaretti,Dannazione

La preghiera è una dimensione essenziale e universale della vita umana. Il salmo quattro ce la rivela, e ci offre il senso di una grande speranza in questi tempi difficili.

«Al mio grido sei tu, mio Dio, la risposta che salva! Dagli spazi ristretti portami in spazi liberi; pietà di me, ascolta la mia preghiera» (Salmo 4,2). Dagli spazi ristretti salvami o Dio. Le parole si imparano una alla volta. Nei nostri spazi divenuti improvvisamente ristretti in tempo di pandemia, possiamo capire la metafora con cui inizia il Salmo 4. Forse solo chi è abituato agli orizzonti liberi e si ritrova nell’angustia forzata scopre il valore infinito degli «interminati spazi». 

L’anima e la cetra/10 - L’uomo e la donna hanno qualcosa che Dio non ha: parole senza verità

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 31/05/2020

"Tyr ha perduto la sua mano destra nel corso di un giuramento, quello menzognero prestato ad un lupo per persuaderlo a farsi legare. A Roma la mutilazione di Scevola è spiegabile in relazione alla mutilazione di Tyr"

D. Briquel, Sul buon uso del comparativismo europeo in materia di religione romana.

La sincerità è un tratto tipico del repertorio umano, che cresce insieme al dolore per le bugie e le menzogne. Oggi più che mai ci serve la vera forza di una nuova sincerità.

L’uomo è l’unico essere capace di menzogna. Né gli animali né Dio possono mentire, se si eccettuano le piccole bugie dette (forse) da alcune scimmie. La sincerità di un cane ci attrae e seduce perché sappiamo che non è come la nostra. Perché sappiamo che gli effetti delle nostre parole e gesti dipendono radicalmente da qualcosa di tipicamente umano: la verità. La possibilità di parole senza verità è qualcosa di talmente umano che non la possiede neanche Dio. È questo uno dei paradossi dell’umanesimo biblico (e in genere di molte religioni): la menzogna è qualcosa che l’uomo possiede e Dio no. Un "di meno" che diventa una specie di "di più". L’uomo, in tutto inferiore agli Elohim, può diventare loro "superiore" nelle sue cose più basse – menzogna, cattiveria, male. Dio non sa mentire, l’uomo e la donna sì. Sta anche qui la forza seducente del peccato: non pecchiamo solo "per essere immortali come Elohim", come disse il serpente alla donna; pecchiamo anche perché siamo attratti e illusi dal poter essere più di Dio, facendo qualcosa che Lui non può fare, perché se lo facesse sarebbe Dio a diventare come noi. Questo bizzarro primato antropologico contiene allora anche una dimensione di bellezza: la possibilità della menzogna dona alla sincerità umana una dignità altissima. Ci ha fatto "poco meno di sé" (Salmo 8), e nella sincerità ci ha fatto, paradossalmente, "più di sé". 

L'anima e la cetra / 24 - Ogni essere umano è non simulacro di Dio, ma scintilla del suo mistero

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 13/09/2020

La domanda come io sia pervenuto a una materia così arcaica non ha ancora trovato risposta. Vi influirono circostanze varie, connesse con gli anni, con l’età. Ripeness is all. Come uomo e come artista io dovevo in qualche modo trovarmi in uno stato di "ricettività" 

Thomas Mann, Appendice a Giuseppe e i suoi fratelli

Nel divieto di farsi immagini di Dio si nascondono temi di grande significato umano e religioso. Il Salmo 115 ce ne svela alcuni.

L’anima e la cetra/7 - La nostra umana somiglianza con Dio tra un "veramente" e un "eppure"

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenireil 10/05/2020

"E quando miro in cielo arder le stelle;

Dico fra me pensando:

A che tante facelle?

Che fa l’aria infinita, e quel profondo

Infinito Seren? che vuol dir questa

Solitudine immensa? ed io che sono?"

Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia

L’antropologia biblica è un bene comune globale dell’umanità. Anche il Salmo 8 ce la ricorda, continuandoci ancora a stupire per la sua straordinaria bellezza profetica.

Alcune persone ricordano per tutta la vita il giorno in cui hanno visto per la prima volta il cielo stellato. Lo avevano "visto" altre volte, ma in una benedetta notte è successo qualcosa di speciale e lo hanno visto veramente. Hanno fatto l’esperienza metafisica dell’immensità e, simultaneamente, hanno avvertito tutta la propria piccolezza e fragilità. Si sono, ci siamo, visti infinitamente piccoli. E lì, sotto il firmamento, sono fiorite domande diverse, quelle che quando arrivano segnano una tappa nuova e decisiva della vita: dove sono e cosa sono i miei affari? e i miei problemi? cosa è la mia vita? cosa i miei amori, i miei dolori? E poi è arrivata la domanda più difficile: e io, che sono? È il giorno tremendo e bellissimo; per alcuni segna l’inizio della domanda religiosa, per altri la fine della prima fede e l’inizio dell’ateismo – per poi scoprire, ma solo alla fine, che le due esperienze erano simili, che magari c’era molto mistero nella risposta atea e molta illusione in quella religiosa, ma lì non potevamo saperlo. Non tutti fanno questa esperienza, ma se la desideriamo possiamo provare a uscire di casa in queste notti fatte più calme e nitide dai mesi sabbatici, cercare le stelle, fare silenzio, attendere le domande – che, mi hanno detto, qualche volta arrivano. 

L’anima e la cetra/28 - Dalla nostra intimità abitata impariamo che l’universo intero è abitato da Dio

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 11/10/2020

"Se c’è un Altro, chiunque esso sia, ovunque sia, e quali che siano i suoi rapporti con me, anche se non agisce su di me in altro modo che con la semplice comparsa del suo essere, io ho un di fuori, una natura; il mio peccato originale è l’esistenza dell’altro".

Jean Paul Sartre,L’essere e il nulla

Il Salmo 139 è un grande messaggio poetico sull’essenza della fede e sul mistero della persona, che mentre si scopre guardata comprende una bellezza più profonda e più grande.

Nell’anima c’è un luogo segreto e profondissimo dove abita una sottile e delicata malinconia. È quella che affiora quando ci accorgiamo che anche la comunione con chi ci ama si arresta sull’uscio di una intimità segreta, quella dove si trova la parte più bella e vera di noi. Sappiamo che i nostri amici, i genitori, la moglie, i figli, ci vogliono davvero bene e ci conoscono davvero, ma la conoscenza amorosa che hanno di noi non riesce a raggiungere la cella vinaria del nostro cuore. Solo se arrivassero lì ci conoscerebbero veramente, perché vedrebbero una bellezza sconosciuta, se qualcuno riuscisse a raggiungerci in quel fondo capirebbe che siamo migliori di come appariamo, che siamo più belli della persona che finora ha conosciuto. Se è vero che l’altro è «colui che mi guarda» (J. P. Sartre), è ancora più vero che l’altro non mi guarda mai abbastanza, non vede la parte migliore di me. Gli altri conoscono qualcosa, alcuni conoscono anche l’essenziale, ma l’essenziale non ci basta, in queste cose l’essenziale è troppo poco. 

Intervista di Livio Partiti a Luigino Bruni a partire dal libro "L'anima e la cetra" ed. Qiqajon

pubblicato su Il Posto delle Parole il 14/07/2021

La preghiera è parte essenziale del repertorio umano. Una società che dimentica l’arte della preghiera si autoriduce i gradi di libertà. La preghiera è anche, forse soprattutto, un fatto civile. Nel libro L'anima e la cetra di Luigino Bruni scopriamo ciò che i salmi dicono di noi.

Ascolta il podcast: 

Nel week-end 2-3 aprile si è svolto in presenza al Polo Lionello Bonfanti il corso della Scuola di Economia Biblica «L'anima e la cetra» con Luigino Bruni: la vibrante testimonianza di uno dei partecipanti.

di Gianluca Floridia

Di sguardi si vive così come si può morire, dicono i saggi. Avevamo sete di uno sguardo vivo e profondo, dopo circa due anni di pandemia e di (per fortuna) partecipazioni “on-line in remoto” ai corsi di Economia Biblica, tenuti con passione dal prof. Luigino Bruni – economista e biblista. Con questa sete di sguardi e corporeità siamo tornati al Polo Bonfanti per la condivisione in presenza di un’esperienza che non è stata solo un Corso sui Salmi, ma un vero e proprio grido – quello dell’uomo del Salterio – che da individuale si è subito tradotto nel “noi” della fraternità, essendo la preghiera un vero e proprio bene comune e, come la felicità, tale solo se condivisa.

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