Le virtù del mercato, MSA

Ogni giovane è figlio di tutti, non solo dei suoi genitori. Ogni bambino che nasce è abitante della terra, e quindi è mio prossimo. Su questa legge naturale e cristiana abbiamo fondato l’Europa. Sull’esempio di Abramo e Sara.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di sant'Antonio il 11/07/2018

Figlidelmondo MSA luglio ridSono stato recentemente in Spagna (Valencia) a conoscere un centro di accoglienza per immigrati (Dorothy Day), dove alcuni imprenditori dell’Economia di comunione stanno provando a creare dei lavori per giovani provenienti prevalentemente dall’Africa. Nel dialogo spontaneo che è nato, qualcuno ha chiesto a una decina di quei giovani, tutti attorno ai 20 anni: «Quali sono i tuoi sogni?». «Fare il meccanico», «l’idraulico», «la sarta»…, hanno risposto. Nell’ascoltare le loro parole, spesso mescolate con le lacrime (loro e nostre), ho capito nuovamente che ogni giovane è figlio di tutti, non solo dei suoi genitori. Ogni figlio è anche figlio mio, ogni bambino che nasce è abitante della terra, e quindi è mio prossimo. Il mio prossimo non è il mio vicino geografico, religioso o etnico: è questo uno dei grandi insegnamenti della parabola del Buon Samaritano.

Le virtù del mercato - Nel mondo del lavoro e nella vita civile non c’è bisogno solo di un linguaggio non-violento (che è già qualcosa), occorre un linguaggio mite.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di S.Antonio il 05/03/2018

Economia mitezza MSA rid 300C’è una virtù molto scarsa nel mondo dell’impresa del nostro tempo,che, anche per la sua scarsità, sarebbe invece molto preziosa. Questa virtù è la mitezza, la mansuetudine. La mitezza è l’anti-violenza, ma è anche l’anti-ira, un vizio oggi parecchio popolare, che incattivisce le nostre riunioni di lavoro o di condominio, il traffico, le campagne elettorali, e che il tempo dei social ha amplificato.

Più aumenta la moda della leadership più si indebolisce la nostra democrazia, che si trasforma in leadercrazia. Forse, allora, dovremmo tutti occuparcene di più.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 03/12/2024

La leadership è ormai uno dei dogmi del nuovo capitalismo.Ne abbiamo già parlato su queste pagine, e ora ci torniamo di nuovo per riflettere su altre sue dimensioni. Non c’è ormai una università che non preveda interi corsi sulle leadership, e non soltanto nelle facoltà di economia o management; se ne trovano molti anche a filosofia, ingegneria, e sempre di più nelle facoltà teologiche e pontificie, dove si moltiplicano gli aggettivi – leadership inclusiva, gentile, trinitaria, benedettina, francescana… –. Non è semplice capire se la domanda (del pubblico) abbia trainato l’offerta (delle università) o viceversa; né se questa moda abbia raggiunto il suo culmine o se siamo solo all’inizio di quello che è destinato a diventare un vero e nuovo culto popolare mondiale, dove tutti saremo chiamati a diventare leader (e dove troveremo abbastanza seguaci?). 

Se le madri e le donne potessero dire la loro nei tavoli dei negoziati maschili, direbbero che la sola guerra giusta è quella che non abbiamo fatto, perché tutta la geopolitica del mondo non vale la vita di un bambino. 

di Luigino Bruni

pubblicato su Il messaggero di Sant'Antonio il 21/04/2022

La storia la dovrebbero scrivere le madri, diceva Tanino, un mio amico scrittore. La dovrebbero scrivere le madri e la dovrebbero generare le donne, se fossero più presenti nei tavoli delle grandi decisioni politiche ed economiche, se fossero protagoniste nei trattati internazionali, nei negoziati per porre fine alle guerre o, meglio ancora, per non farle iniziare. Abbiamo tradito quelle poche Madri costituenti che dopo l’approvazione dell’articolo 11 della nostra Costituzione, con ancora la guerra, i morti, i lager negli occhi e nel cuore, scesero nel centro dell’emiciclo dell’aula, si presero per mano e ripeterono il loro «mai più la guerra», suggellando con quell’abbraccio di mani miti le parole tra le più belle della nostra Carta: «L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Lo abbiamo tradito come umanità, lo abbiamo tradito come Europa e Italia inviando armi in Ucraina, per di più continuando a inviare denaro alla Russia in cambio di gas e petrolio, vivendo così alla lettera la parodia della parola del Vangelo: «Non sappia la mano destra ciò che fa la sinistra».

Oggi la terra è piena di samaritani e donne siro-fenicie che ci attendono ai crocicchi della strade per spiegarci il Vangelo che loro non conoscono ancora: quando ci chineremo per ascoltarli?

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio l'8/11/2022

La parabola del «Buon Samaritano» è tra le più belle dei vangeli (Lc 10). Papa Francesco ha scelto questa parabola come pietra angolare biblica della sua enciclica sulla fraternità, Fratelli tutti. Il primo messaggio del buon Samaritano è la differenza tra il «vicino» e il «prossimo».Il Samaritano che passava lungo la strada non era il più vicino della vittima che si era imbattuta nei briganti; anzi, era il più lontano da ogni punto di vista (per religione, etnia, geografia). I vicini erano invece il sacerdote e il levita, che, al contrario, non si fermano. Dunque, il Samaritano si fece prossimo di quella persona sebbene non fosse suo vicino.

Il presepe è simbolo di bambini, di famiglia, di relazioni, di lavoro, di povertà e di comunione, che erano anche i segni del Natale cristiano. Valori opposti a quelli del nuovo Natale consumista, che si basa sull’individuo.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 03/01/2025

Nei grandi momenti di cambiamento d’epoca e di civiltà, le tragedie e le farse si intrecciano e spesso si confondono. Abbiamo assistito, anche quest’anno, all’insopportabile polemica sui presepi nelle scuole e nei luoghi pubblici, perché, a detta di alcuni opinion leader, avrebbero offeso bambini e persone di altre religioni; per poi scoprire, grazie a qualche chiacchierata con la gente, che alle persone di altre religioni il presepe non dava alcun fastidio, un astio che invece provavano intellettuali nostrani ideologicamente ingaggiati in una lotta senza quartiere per distruggere le ultime vestigia di tradizione cristiana e di identità storica. Come se il presepe fosse soltanto o soprattutto una faccenda di religione cristiana, e non invece una realtà meticcia fatta di un bambino, una capanna, pecorelle, pastori, contadine, asino, bue, angeli, laghetti di carta stagnola, meccanismi sofisticati per azionare pozzi e cascate, fuochi, luci, notti, il pastore Benino che dorme, persino Maradona e Sinner. I presepi li abbiamo amati e li amiamo perché è dove abbiamo imparato a rappresentare la vita, dove abbiamo rivisto la nostra gente, il loro amore.

Se un imprenditore non è re, non avrà la capacità di guidare la sua azienda. Se non è profeta o sacerdote, non saprà discernere né mediare. 

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 12/03/2020

All’inizio delle grandi storie spirituali, come quelle di movimenti spirituali o di comunità carismatiche, nei fondatori coesistono le vocazione di re, profeta e sacerdote. I fondatori governano, combattono, conquistano, guidano (re), parlano al loro popolo in nome di Dio (profeta), e dicono a Dio le parole e i gesti degli uomini (sacerdote). Questa natura una e trina è tipica dei momenti aurorali delle comunità ed è dono straordinario per persone che hanno compiti speciali.

Il management sta diventando la nuova ideologia del nostro mondo globale, in particolare quel management insegnato nelle business school e veicolato dalle grandi imprese globali di consulenza.

di Luigino Bruni

pubblicato su Il Messaggero di S. Antonio il 06/04/2023

Il management sta diventando la nuova ideologia del nostro mondo globale, in particolare quel management insegnato nelle business school e veicolato dalle grandi imprese globali di consulenza. Nel Novecento la critica sociale si era indirizzata verso la teoria economica liberale, individuando negli economisti teorici il grande nemico da combattere per costruire una società finalmente giusta ed egualitaria.

Il merito declinato come meritocrazia è diventato ormai un vero dogma della nuova religione del nostro tempo, cioè quella del business e del consumo, una religione che ha soppiantato in Occidente il cristianesimo.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 04/03/2025

Mi è capitato di ascoltare di notte una trasmissione di Radio1 sul tema del merito, in particolare del merito a scuola. Il conduttore non aveva alcuna idea del dibattito culturale e scientifico sul merito, che è antichissimo: un suo punto di partenza è il libro di Giobbe, poi i vangeli, Agostino, Pelagio, Lutero… I suoi due ospiti erano entrambi entusiasti per la rivoluzione del merito in corso nel nostro Paese. Così, senza alcun contraddittorio, facevano propaganda al nuovo verbo meritocratico. Uno degli ospiti, per spiegare l’urgenza vitale di introdurre il merito nella scuola – come denota il preoccupante cambiamento nel titolo del ministero dell’Istruzione –, utilizzava la metafora dello sport per applicarla alla scuola. E affermava: tutti hanno diritto a fare attività sportiva, ma solo i più capaci vincono le medaglie; così deve essere anche nella scuola: tutti devono andare a scuola, ma bisogna costruire un sistema dove i più bravi possano vincere le loro medaglie. Il merito era presentato come il grande assente dalla nostra scuola, livellata e non meritocratica, e quindi i nostri studenti migliori non possono fiorire, anche per la triste peculiarità delle classi con presenza di alunni con problemi di apprendimento che si trovano, purtroppo, nelle stessi classi dei più capaci, per colpa di una società pietista e cattolica che danneggia i più bravi appesantiti dai meno capaci.

Nella parabola del Figliol prodigo riportata da Luca non si parla della madre. E con lei è assente nella storia qualsiasi sguardo femminile. Se ci fosse stata una madre, la storia sarebbe stata certamente diversa.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 11/11/2024

Le parabole evangeliche sono piene di ispirazioni anche per la vita economica e civile. Pensiamo alla bellissima parabola del Figliol prodigo (o del Padre misericordioso). Luca ci presenta un padre e due figli, un maggiore e un minore. Un uomo benestante, un’azienda famigliare, forse agricola. Il figlio più giovane non vuole continuare il progetto paterno. Lascia, e chiede al padre la sua «parte di eredità». Il padre poteva non dargliela, perché la tradizione ebraica non consentiva a un figlio di chiedere l’eredità con il padre ancora in vita, e perché in quelle culture antiche il padre era il padrone di tutto. E invece lo lascia andar via, con parte del patrimonio di casa. Fa diventare i beni di famiglia patrimonio, cioè il dono (munus) del padre.

Le virtù del mercato - Ci siamo mai chiesti da che punto di vista guardiamo il mondo? Da quello dei ricchi? Oppure da quello dei poveri? Perché, in termini di speranza, ma non solo, fa una bella differenza.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di sant'Antonio il 10/06/2018

Povertà MSA giugno fotolia ridUna virtù particolarmente scarsa nel nostro tempo si chiama speranza. La speranza non è solo una virtù (è anche un dono, come sottolinea il suo essere stata chiamata dai cristiani virtù teologale), ma è ancheuna virtù, perché richiede esercizio, soprattutto per non perderla nei momenti difficili, individuali e collettivi (come è quello che stiamo vivendo ora). E chi ha dubbi che la speranza sia una preziosissima virtù economica, lo chieda agli imprenditori, soprattutto a quelli che hanno superato crisi lunghe e profonde, nelle quali il primo cibo è stata la virtù della speranza, morta e risorta molte volte (si esce vivi dalle crisi quando le resurrezioni sono una in più delle morti).

Ogni esperienza religiosa ha in sé una dimensione di consumo. Non si va in chiesa, e non vi si andava nei secoli passati, soltanto per adempiere a un obbligo morale, per la paura dell’inferno o per non essere discriminati dai propri compaesani.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 02/05/2025

Il linguaggio dell’economia, qualche volta, può aiutare a capire fenomeni che con l’economia non hanno molto a che fare. La religione, e in generale le fedi, sono tra queste realtà che rivelano qualcosa di se stesse se fatte parlare nella lingua dell’economia. Ogni esperienza religiosa ha in sé una dimensione di consumo. Non si va in chiesa, e non vi si andava nei secoli passati, soltanto per adempiere a un obbligo morale, per la paura dell’inferno o per non essere discriminati dai propri compaesani. Ci si recava alle funzioni anche perché ci piaceva e ci piace immergerci per un’ora in un’atmosfera positiva, appagare gli occhi con i quadri dei santi, della Madonna e di Gesù, toccare le statue di sant’Antonio e santa Rita, respirare l’odore dell’incenso. E poi ci piacevano moltissimo le processioni, i canti, i baldacchini, gli spari, le viae crucis quando tutti piangevamo e ci riconoscevamo in Gesù, anche noi crocifissi alle nostre croci, e un po’ risorgevamo con lui. In una vita breve, triste e povera, le Messe e le funzioni erano i nostri beni di lusso: entravamo in quei luoghi bellissimi, e ci sentivamo, per un po’ di tempo, quasi come i ricchi e i signori. Consumavamo anche noi emozioni, beni relazionali, beni di comfort, musica, arte, canti, eucarestia.

Oggi è più che mai urgente re-inventare la vita adulta, schiacciata da una gioventù e una vecchiaia artificialmente sempre più lunghe. Finché non si lavora davvero non si è pienamente adulti, perché non inizia effettivamente l’età della responsabilità.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 02/02/2023

Il nostro tempo sta conoscendo un nuovo protagonismo dei giovani, che stanno facendo in molti Paesi cose straordinarie. Sono giovani e adolescenti insieme, e la presenza dei teenagers è una grande novità rispetto all’analogo Sessantotto. Dai «Fridays for future» alle giovani iraniane e afgane, a «Economy of Francesco», fino ai giovani di «Ultima generazione», che imbrattano con vernice lavabile quadri e palazzi per ricordare che i potenti hanno imbrattato, con vernice indelebile, il pianeta e il loro futuro. Giovani meravigliosi, che ci stanno salvando, eppure non vogliamo prenderli abbastanza sul serio. Perché la nostra cultura capitalistica ama la giovinezza, ma ama poco i giovani.Così, mentre apprezza sempre più i valori associati alla giovinezza – bellezza, salute, energia… – capisce sempre meno e disprezza i valori, che pur sono fondamentali, della vecchiaia, che cerca in tutti i modi di allontanare dal suo orizzonte, che così si abbuia e si intristisce. Perché una civiltà che non valorizza gli anziani e non sa invecchiare è stolta come lo è quella che non capisce e valorizza i veri giovani: la nostra generazione è la prima che sta sommando tra di loro queste due stoltezze.

Il talento civile o lo «spirito» di un Paese, dei suoi governanti e della sua gente, sta nel saper creare un orgoglio e una speranza civile veri a partire da segni reali presenti nel passato.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 03/02/2025

L’Economia civile, la cui stagione d’oro è stata il Settecento napoletano e il cui capostipite l’abate salernitano Antonio Genovesi, è l’anima più vera e profonda della nostra economia e società.Nelle Lezioni di Economia civile, pubblicate da Genovesi tra il 1765 e il 1769, leggiamo pagine molto importanti sull’Italia e sul suo Meridione, che sembrano scritte non ieri, ma domani: «I Greci chiamavano la Magna Grecia e molte altre provincie di questo Regno, il paese del vino; ma potevano anche chiamarlo il paese de’ grani, e non solo di frumento, ma d’ogni altro genere. La Sicilia era il granaio di Roma, e ora è di molti popoli. I suoi vini sono il nettare che bevono le migliori tavole non solo degl’Inglesi, ma de’ Francesi altresì, ancorché superbi del loro Borgogna. Paesi di seta, e oggi quasi i soli seri di Europa. Paesi di bambagia, la quale, per confessione di tutti, è la migliore del globo terraqueo; paesi di lana, di lino, di canape, d’ogni sorta di animali; paese di caci, di manna ecc. ecc. ecc., paese di grand’ingegni...» (p. 325).

Le comunità devono fare i conti con un paradosso che nasce quando si mettono insieme liberta personale e adesione al "gruppo". Come uscirne? Inventando nuove forme di libertà...

di Luigino Bruni

Pubblicato su Il Messaggero di S.Antonio il 09/10/2018

Per le misure contro la povertà si dovrebbero ascoltare i poveri veri, oppure i loro rappresentanti «per vocazione», che si affianchino ai tecnici e ai politici che la povertà la conoscono quasi sempre per sentito dire.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 04/01/2019

Sono stato recentemente ad Assisi, e sono passato a San Damiano, dove si ricorda che «qui il Signore parlò a Francesco». Le vocazioni hanno sempre un luogo e un tempo esatti, sono infinitamente concrete, e orientate a un compito: «Qui, il 20 maggio 1986, incontrai tua madre»; «qui, il 26 agosto del 1990, sentii la chiamata»… All’inizio Francesco pensò che «la chiesa» da riedificare fosse la chiesetta diroccata di San Damiano; solo col tempo si capì che la chiesa da riedificare era in realtà la Chiesa di Cristo. Un fenomeno che si ritrova in molte fondazioni carismatiche e profetiche: si inizia con un compito concreto e puntuale, e poi si capisce che ciò che era oggetto della chiamata era molto diverso.

La pietà popolare è stata un immenso esercizio collettivo di sovversione, soprattutto di donne. Fu, a modo suo, un meraviglioso inno alla vita, la risposta popolare alle idee teologiche sbagliate.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 10/06/2024

«In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito». Questa è una celebre frase dell’Introduzione di Fontamaradi Ignazio Silone, uno dei romanzi più belli e importanti del Novecento italiano. «Cafone» è una parola che Silone usava in un significato diverso da quello comune. Era il nome dei contadini della piana del Fucino e, in generale, un nome con cui lo scrittore indicava gli oppressi e i dimenticati della terra. Una parola di dolore, certo, ma mai usata da Silone in senso dispregiativo, in modo da suscitare vergogna. E invece il dolore è ancora oggi causa di vergogna, soprattutto nei poveri. La mia famiglia ha conosciuto la povertà. L’hanno conosciuta i miei nonni, e la sua eco viva è giunta fino a me. Da questa eco nascono le mie parole sulla povertà, sull’economia, sulla teologia. 

l mondo degli ordini religiosi non è sovrapponibile al mondo delle imprese. Eppure, soprattutto nei momenti di difficoltà, esistono delle analogie...

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 29 luglio 2020

«Noi suore della generazione di mezzo saremmo felici di dedicare il resto della nostra vita a occuparci delle suore anziane, in modo da liberare le suore giovani dal grande peso che comporta la cura di una congregazione così anziana». Queste parole me le ha dette la Madre Generale di una congregazione, qualche giorno fa. Una generosità che mi ha commosso, e poi mi ha stimolato una riflessione di carattere più generale sul presente e sul futuro degli ordini religiosi della Chiesa.

Se vogliamo riavvicinare lo spirito moderno al messaggio di vita di Gesù, dobbiamo operare una purificazione del linguaggio teologico, iniziando da quello economico e commerciale.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 12/07/2024

Il primo a usare la metafora economica nel Nuovo Testamento fu san Paolo che, nella Prima lettera ai Corinzi, utilizza addirittura la parola prezzo: «Siete stati comprati a caro prezzo» (7,23).Poiché Paolo è un gigante della teologia cristiana, molti teologi da allora in poi pensarono che non si potesse parlare di teologia senza usare la metafora del «prezzo della salvezza». San Paolo, però, nelle sue lettere usa anche altre metafore, tra cui quella sportiva (cfr. 1Cor 9,24-26). Eppure nessun teologo del passato e del presente ha mai pensato che tale metafora fosse necessaria per spiegare la teologia cristiana. Invece, dalla metafora economica è discesa una vera e propria «economia della salvezza», che giustificherebbe l’esistenza di una specie di contratto con prezzi da pagare e da riscuotere, e vedrebbe Gesù come un «divin mercante». Dimenticando che le metafore bibliche sono sempre aurora di discorso, punti di partenza. L’altra metà del ragionamento deve restare non detta: solo le metafore parziali lasciano uno spazio libero tra il mistero di Dio e le nostre idee teologiche su di lui

Se non si impara a casa, e nei primi anni di vita, il valore della gratuità, da adulti saremo mossi solo dal denaro e non saremo buoni lavoratori. Lasciamo gli incentivi e le paghe ai grandi, e proteggiamo i nostri piccoli dall’impero del denaro.

di Luigino Bruni

pubblicato il 04/02/2024 su Il Messaggero di Sant'Antonio

La paghetta dei ragazzi e delle ragazze è un tema controverso, e sotto vari aspetti. Spesso è un’espressione che accomuna fenomeni molto diversi tra di loro. In senso stretto, la paghetta è una somma di denaro – settimanale o mensile – che i genitori consegnano a un figlio/a che non ha un reddito proprio, perché lo usi per le sue spese ordinarie. In genere, la paghetta si riferisce a ragazzi/e adolescenti o pre-adolescenti, non a bambini e non a studenti universitari. Una seconda confusione riguarda poi l’accomunare la paghetta e l’incentivo monetario nei vari «lavoretti» dei figli. Perché dare un tot di euro alla settimana come paghetta è diverso dalla creazione di una sorta di mercato familiare dove i vari servizi domestici sono associati a un prezzo: 3 euro per sparecchiare, 4 per lavare i piatti, ecc... I due strumenti – paghetta e incentivo – possono coesistere in famiglia, ma l’uno può sussistere anche senza l’altra, e viceversa.

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