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#EoF - Cambiare il sistema si può: perché non iniziare dal primo settore dell’economia?

#EoFProview - La filiera agroalimentare estesa è il primo settore economico per fatturato in Italia, eppure si basa su un sistema di sfruttamento insostenibile per l’uomo e per l’ambiente. Come invertire la rotta passando dalle buone pratiche a una trasformazione reale del sistema?

di Chiara Subrizi

La filiera agroalimentare estesa è il primo settore economico per fatturato in Italia, eppure si basa su un sistema di sfruttamento insostenibile per l’uomo e per l’ambiente. Come invertire la rotta passando dalle buone pratiche a una trasformazione reale del sistema? Questa è la seconda puntata di questo articolo. Se vuoi leggere la prima parte, clicca qui

Dalla diagnosi… alla cura… 

Di fronte a problemi strutturali come quelli descritti occorre agire direttamente sulle cause scatenanti per trasformare il sistema. Questo cambiamento radicale richiede due elementi:

  1. il cambiamento del sistema economico
  2. il cambiamento della cultura, in questo caso di noi consumatori.  

Infatti, non può esistere cambiamento del sistema economico efficace se la cultura della comunità non è pronta per abbracciare il cambiamento.

Sul lato della consapevolizzazione dei consumatori qualcosa si sta muovendo da tempo, tanto che nella distribuzione ormai sono moltissime le soluzioni di consumo alimentare rispettose dell’ambiente e, alle volte, anche dei diritti dei lavoratori e dei piccoli produttori come nel caso dello shopping online sostenibile di Gioosto e dell’esperienza della Marca del Consumatore

Tuttavia, occorre passare dalle singole buone pratiche a un cambiamento del sistema che coinvolga tutti gli attori della filiera agroalimentare, dal bracciante al consumatore finale: una “nuova alleanza” basata su due paradigmi cari a Papa Francesco, l’ecologia integrale e la cooperazione tra gli attori in gioco. 

Questo cambiamento è possibile se si agisce su due piani. 

Da un lato, quello della politica nazionale e internazionale, per esempio smettendo di fornire finanziamenti europei a chi non rispetta elevati standard di sostenibilità sociale e ambientale e istituendo un’etichetta narrante che abbia la scomposizione percentuale del prezzo in modo che tutti possano sapere quanto valore va e a quale soggetto della filiera.

Dall’altro, agendo direttamente sulla filiera, non solo agevolando e diffondendo culturalmente la filiera corta, quando possibile, per togliere potere agli intermediari, ma soprattutto rendendola sostenibile per tutti gli anelli della catena.  Questo si può realizzare superando le reti che tradizionalmente si creano solo tra i produttori o tra i consumatori e creando una rete tra tutti i soggetti della filiera per tutelare i più deboli senza far perdere profitto ai più forti.

Occorre passare dalle singole buone pratiche a un cambiamento del sistema che coinvolga tutti gli attori della filiera agroalimentare, dal bracciante al consumatore finale. 

Perno di questa “nuova alleanza” tra braccianti, produttori, distributori e consumatori è un soggetto facilitatore che controlla tutti i passaggi della filiera dall’interno permettendo ai produttori di essere pagati al giusto prezzo, garantendo ai lavoratori il contratto nazionale con ore di lavoro e salario equi, e assicurando ai distributori un giusto margine con prodotti non solo biologici ma anche in assenza di sfruttamento. Infatti, il facilitatore si inserisce in tutte le fasi produttive grazie al contatto diretto con i braccianti e gli operai dell’industria di trasformazione, controllando dall’interno tutte le dinamiche nella filiera e combattendo ogni forma di lavoro nero e grigio. 

Questo stesso soggetto può mettere in rete anche attori esterni come le istituzioni e il terzo settore, permettendo di offrire, ad esempio, soluzioni abitative dignitose, assistenza legale e sanitaria ai braccianti nonché servizi di assistenza alle imprese per innovare il loro modello di business, oltre a concedere l’uso di un marchio che garantisce il rispetto dell’ambiente e dei diritti umani. 

Questo progetto pensato nel nostro Villaggio di Agricoltura e Giustizia è in realtà già concretezza in Italia grazie alla filiera e associazione NoCap (no caporalato) creata da Yvan Sagnet che, dopo aver vissuto lo sfruttamento sulla propria pelle, ha saputo trasformare la protesta sindacale in una proposta per cambiare il sistema. Dopo soli tre anni NoCap, che svolge questo ruolo di facilitatore nella filiera, ha tolto dalle mani dei caporali 700 lavoratori e coinvolto 20 aziende agricole e più catene di supermercati con una proposta sostenibile dal punto di vista ambientale, umano ed economico per tutti gli attori della filiera, compresi i consumatori a cui sono offerti prodotti “buoni puliti e giusti” ad un prezzo in linea con quello di mercato. 

Oggi la sfida è passare da un progetto efficace ma ancora limitato nella sua diffusione a una Strategia nazionale per l’agricoltura a livello nazionale e internazionale che faccia in modo che presto consumare prodotti buoni, puliti e giusti non sia una scelta, ma la normalità.

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