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Diamanti, fregature e cartoline. A cosa serve il capitale reputazionale

I Commenti de "Il Sole 24 Ore" - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore

di Vittorio Pelligra

pubblicato su Il Sole 24 ore del 16/01/2022

Qualche tempo fa ho visto sui social una foto piuttosto istruttiva: quello che da fuori sembrava un hard disk esterno, una volta smontato, rivelava al suo interno una minuscola card di memoria più due grossi bulloni, il tutto siliconato alla custodia di plastica. Qualcuno aveva ordinato online, da chissà quale sito, un hard disk, pagato per un hard disk, chissà in quale circuito, e ottenuto la scatoletta in plastica di un hard disk, più due bulloni e una memory card. Una sòla, si direbbe dalle nostre parti, un pacco, una fregatura, un “lemon” direbbero gli americani.

L’economia dell’informazione e i suoi effetti

Abbiamo visto varie volte nei Mind the Economy di questi ultimi mesi dedicati all'economia dell'informazione come possano nascere dei veri e propri “markets for lemons” per usare la celeberrima espressione del Nobel George Akerlof e come la presenza di informazioni private, note ad una parte ma non alla controparte, possa portare inefficienze e perfino a far implodere i mercati. Il caso dell'hard disk “tarocco” è un caso estremo di questa inefficienza che assume la forma specifica dell'azzardo morale, di opportunismo post-contrattuale: il contratto prevede una transazione sequenziale nella quale il compratore prima invia il denaro e alla ricezione il venditore invia il bene. L'asimmetria informativa fa sì che una volta inviato il denaro, il compratore non possa verificare in maniera precisa le azioni del venditore, per esempio se invierà o no il bene così come concordato, con le caratteristiche specificate e nei tempi dovuti.

Il rischio economico dell’azzardo morale

La teoria economica, con la sua assunzione di comportamento auto-interessato, produce, al riguardo, previsioni pessimistiche: il venditore si terrà il bene e il denaro e, anticipando questo fatto, il compratore non invierà il denaro. Ecco che una transazione che potenzialmente avrebbe portato beneficio a entrambe le parti non avrà luogo. E a poco valgono, in casi come questi, le protezioni legali. Immaginate il compratore di quell'hard disk. Avrà speso al massimo cinquanta euro per far arrivare, probabilmente da un Paese lontano, quel bene. Scoperto l'inganno potrebbe certamente rivolgersi ad un legale per far valere i suoi diritti. Il legale dovrebbe quindi scrivere al venditore in quel Paese lontano nella speranza di un ravvedimento volontario. Altrimenti una denuncia e tribunali, sempre nel Paese lontano. Alla luce di queste considerazioni chiediamoci quanto è davvero probabile che il compratore truffato decida di fare causa. Impensabile. Anche per questo il rischio dell'azzardo morale produce inefficienza in questo genere di mercati.

Il valore della reputazione

Sappiamo, però, fortunatamente, che benché il rischio di truffe sia sempre presente, la loro frequenza è molto ridotta; la probabilità così piccola, che i mercati elettronici, come ben sappiamo, sono sempre più fiorenti e in continua espansione. Abbiamo visto qualche settimana fa che alla base di questo successo c'è un fattore importantissimo: la reputazione. Se è vero che i compratori scontenti difficilmente sceglieranno una tutela legale, soprattutto quando il danno subito è di lieve entità, è invece molto più probabile che segnalino l'accaduto lasciando una brutta recensione nella piattaforma di e-commerce coinvolta.

Ricevere recensioni di questo tipo non fa certo aumentare il numero dei clienti, per cui, anche in assenza di sanzioni formali, venditori truffaldini possono venire puniti attraverso una riduzione del loro capitale reputazionale che avrà certamente un impatto negativo sui loro affari. Questa possibilità esercita, nella grande maggioranza dei casi, un potere deterrente tale da indurre i venditori ad un comportamento onesto ed affidabile anche in assenza di sanzioni informali.

L’esempio del mercato dei diamanti

A proposito è nota la storia del mercato dei diamanti, fondato e cresciuto quasi esclusivamente intorno al valore della reputazione. Poiché i diamanti sono incredibilmente costosi, i “diamantaires”, i commercianti di diamanti, non hanno in genere liquidità sufficiente per pagare le pietre e quindi molto spesso acquistano a credito. Anche qui dunque una transazione sequenziale: prima mi dai il bene, poi ti pagherò. Chiaramente questa transazione a credito espone il venditore a un rischio enorme.Cosa controbilancia questo rischio? Nessuno strumento legale, solo il rischio di un danno reputazionale. Il fatto che l'associazione professionale dei “diamantaires” renda nota l'identità di chiunque sia stato scoperto ad imbrogliare, in qualunque modo, unitamente al costo enorme cui un mercante di diamanti andrebbe incontro perdendo la possibilità di fare affari per tutto il resto della sua vita, rendono il valore di una reputazione specchiata incommensurabile.

Le piattaforme di e-commerce

Per questa ragione, per esempio, si parla di un mercato fondato quasi esclusivamente su imprese familiari, la cui reputazione, costruita nel passato, viene tramandata alle generazioni successive come un'eredità preziosa. I nuovi mercanti possono provenire solo da famiglie note e per questo tutte le famiglie hanno interesse a tutelare la loro reputazione per consentire ai figli di poter entrare, un giorno, anche loro nel redditizio commercio dei diamanti. Quello che le piattaforme di e-commerce fanno oggi è molto simile a quello che fa la gilda dei “diamantaires” ormai da secoli. Rende note le informazioni sul comportamento delle parti. C'è un commerciante disonesto? Lo si fa sapere a tutti attraverso i bollettini dell'associazione. C'è un venditore truffaldino sul web? Lo si sommerge di recensioni negative. L'effetto deterrente è il medesimo.

La reputazione come capitale economico

Ma una buona reputazione non è solo una precondizione per poter entrare in questi mercati, è anche un vero e proprio capitale economico. Chi ha una buona reputazione guadagna di più. L'abbiamo visto la settimana scorsa con il mercato off-line dei ristoranti della Contea di Los Angeles, lo vedremo ora con il mercato online di e-Bay. Paul Resnick, professore di scienze dell'informazione all'Università del Michigan, Richard Zeckhauser, economista della Kennedy School of Government all'università di Harvard assieme ad alcuni altri colleghi hanno condotto un interessante esperimento utilizzando proprio la piattaforma di e-Bay per verificare questa ipotesi. Su questa piattaforma risulta che la stragrande maggioranza delle transazioni sono scambi “one-shot”. Quel determinato acquirente si rivolge a quel particolare venditore solo una volta nella vita. In questo caso la strategia di equilibrio, la scelta razionale, come abbiamo visto, dovrebbero essere “non mandare i soldi, non mandare il bene”. Nessuno scambio, il mercato fallisce. Per questo è necessario un meccanismo per facilitare la diffusione delle informazioni sull'affidabilità degli agenti, sia dei compratori che dei venditori.

In principio fu e-Bay

La piattaforma di e-Bay è stata la prima ad implementare un simile meccanismo per diffondere queste informazioni e rendere, così, più vantaggioso l'investimento in reputazione, raccogliendo informazioni sulla storia passata dei venditori e, successivamente, anche degli acquirenti e rendendo queste informazioni pubblicamente accessibili. In questo ambiente i venditori sanno che il loro comportamento, anche se non direttamente osservabile, influenzerà i loro profitti in futuro. C'è, quindi, un incentivo a investire per costruire una buona reputazione astenendosi da scelte opportunistiche.

Esistono oggi molti mercati reputazionali, ma quello sviluppato da e-Bay è stato uno dei primi, più sviluppati e conosciuti. Al termine di ogni transazione sia il venditore che l’acquirente sono invitati a fornire un feedback sul comportamento della controparte. Mantenere una buona reputazione può essere costoso perché significa rinunciare a facili guadagni immediati e, quindi, per essere sostenibili deve rivelarsi conveniente nel lungo periodo. Questo vuol dire che i profitti di un venditore con una buona reputazione devono essere superiori a quelli di un venditore con una cattiva reputazione.

Un esperimento

Resnick Zeckhauser e colleghi si prefiggono di verificare questa idea sperimentalmente. Per fare questo aprono diversi account che vendono gli stessi articoli, forniscono lo stesso servizio e propongono gli stessi prezzi di partenza. Un account è quello di un venditore reale che negli anni si è guadagnato sul campo una buona reputazione. Poi vengono aperti altri sette nuovi account di venditori che vendono esattamente gli stessi beni ma che, necessariamente, non hanno ancora avuto modo di sviluppare una reputazione. L'esperimento dura dodici settimane durante le quali i venditori offrono gli stessi articoli (cartoline da collezione) con le stesse caratteristiche e allo stesso prezzo di partenza. Alla fine del periodo di vendita emergono alcuni risultati interessanti.

A supportare l'ipotesi del valore anche economico della reputazione c'è il fatto che il prezzo di vendita ottenuto dal venditore accreditato è mediamente superiore dell'8,1 per cento rispetto al prezzo ottenuto per lo stesso prodotto dai venditori nuovi, quelli senza reputazione. Non solo, ma anche la quantità di cartoline vendute risulta superiore. Una buona reputazione, quindi, sembra non solo risolvere il problema dell'azzardo morale insito in mercati caratterizzati da asimmetrie informative, ma garantisce maggiori vendite e ad un prezzo superiore (Resnick, P., Zeckhauser, R., Swanson, J., Lockwood, K., “The value of reputation on eBay: A controlled experiment”. Experimental Economics 9, 2006, pp. 79–101).

Dalla reputazione maggiori profitti

I risultati sperimentali, come quelli di Resnik e soci mostrano in maniera chiara e inequivocabile ciò che l'intuizione suggerisce e la teoria prevede precisamente: la reputazione è una forma di capitale che può essere utilizzata per produrre beni e servizi di maggiore valore ed ottenere maggiori profitti. Il tutto, però, dipende dalle caratteristiche del mercato nel quale queste transazioni hanno luogo. I consumatori, per esempio, hanno un ruolo fondamentale. Se non vengono fornite le recensioni, positive o negative, il rischio è che l'asimmetria informativa abbia il sopravvento e faccia fallire il mercato. Chi progetta questi mercati, quindi, deve riuscire a risolvere alcuni problemi non di poco conto.

È necessario incoraggiare la partecipazione di tutti i compratori, non solo di quelli molto soddisfatti o di quelli molti insoddisfatti. Occorre essere in grado di estrarre informazioni utili e accurate, di evitare la manipolazione strategica da parte dei compratori. Occorre trovare un meccanismo di aggregazione delle valutazioni sulle esperienze passate che sia davvero informativo ed utile. È necessario, per esempio, dare tutte le informazioni passate o solamente quelle relative agli ultimi mesi? Del resto, un venditore inizialmente inaffidabile potrebbe aver cambiato politica e essere diventato, negli ultimi tempi, perfettamente affidabile. Un altro problema non da poco è quello relativo alla nascita di mercati dove le buone recensioni vengono vendute da soggetti senza scrupoli.

Quando la reputazione viene inquinata

TripAdvisor ha intentato negli ultimi anni non poche cause contro soggetti che in questo modo inquinavano la credibilità delle recensioni lasciate nella sua piattaforma. Sono tutti problemi seri e rilevanti che vanno affrontati se si vuole creare un mercato reputazionale efficiente. Ma l'idea di base rimane semplice ed efficace. Mettere in competizione tra di loro l'interesse personale di breve periodo con quello di lungo periodo. L'egoismo predatorio con quello “illuminato”. Scriveva il filosofo scozzese David Hume, amico e maestro di Adam Smith, nel suo “Of the Independence of Parliament” del 1742 che “Nell'escogitare qualsiasi sistema di governo che stabilisce i pesi e contrappesi costituzionali, ogni uomo dovrebbe essere considerato come un furfante con nessun altro scopo, in tutte le sue azioni, dell'interesse privato. Con questo interesse lo dobbiamo governare e, per mezzo di esso fare in modo che, nonostante la sua insaziabile avarizia e ambizione, egli possa concorrere al bene pubblico”.

Costruire meccanismi capaci di rendere conveniente avere una buona reputazione può essere quindi, come abbiamo visto, una mossa astuta per imbrigliare l'“insaziabile avarizia e ambizione” dei più disonesti e far sì che la loro azione non comprometta il buon funzionamento di istituzioni orientate alla tutela degli interessi dei più, anche in situazioni complicate come quelle di cui ci stiamo occupando noi, in cui l'informazione è distribuita in maniera asimmetrica. Questo approccio che qualcuno definisce “deviant-centered” ha notevoli pregi, ma anche non trascurabili difetti. Di questi ci occuperemo nelle prossime settimane. Per chi vorrà continuare a seguirci.

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