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Quanto vale il capitale reputazionale?

I Commenti de "Il Sole 24 Ore" - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore

di Vittorio Pelligra

pubblicato su Il Sole 24 ore del 09/01/2022

La creazione di network reputazionale costituisce una soluzione tanto antica quanto efficace al problema della costruzione della fiducia nei mercati caratterizzati da asimmetrie informative e quindi dal rischio di azzardo morale.

Nel Mind the Economy della settimana scorsa abbiamo visto come già nell'XI secolo, grazie alla creazione di un meccanismo di reputazione collettiva, i mercanti della coalizione magrebina (Maghribi Traders) fossero riusciti a sviluppare canali efficienti di commerci a lunga distanza basati sull'azione di agenti interessati a crearsi e mantenere un'elevata reputazione di affidabilità e lealtà.

Il fascino di questa istituzione è legato alla sua capacità di promuovere comportamenti cooperativi anche in assenza di costose istituzioni di controllo, contratti formali e tribunali.

Questi stessi meccanismi, antichissimi – Erodoto ce ne segnala di simili già nel VI sec. a.C. – si sono affermati molti secoli dopo come una delle soluzioni più efficaci al problema della creazione di fiducia su Internet. Questi sistemi basati sulla reputazione digitale sfruttano le capacità di comunicazione bidirezionale di Internet per riprodurre online canali di passaparola su larga scala in cui gli agenti (imprese, clienti, utenti, etc.) condividono opinioni ed esperienze su una vasta gamma di argomenti e, in particolare, sulla storia passata e l'affidabilità dei loro possibili interlocutori.

Con il diffondersi, negli ultimi trent'anni, dei metodi sperimentali anche in economia, molti ricercatori hanno provato a comprendere nel dettaglio, sia nell'ambiente controllato del laboratorio che sul campo, quali elementi influenzano maggiormente il funzionamento dei meccanismi reputazionali e perfino a quantificarne l'effetto in termini monetari.

In uno studio pubblicato nel 2005, l'economista di Harvard Iris Bonhet con tre suoi colleghi hanno analizzato l'impatto che l'accessibilità a informazioni di diversa natura può esercitare sugli scambi e sull'efficienza dei mercati. Una tipica relazione tra venditore e acquirente come quelle che sperimentiamo sulle piattaforme di e-commerce, è caratterizzata da una struttura sequenziale che prevede l'invio del denaro e, solo successivamente, la ricezione del bene. Questo tipo di scambi, necessariamente, richiede che gli acquirenti abbiano qualche forma di informazione sul comportamento passato dei venditori, sulla loro affidabilità.

Questo, ci dice la teoria, dovrebbe mitigare l'effetto negativo dell'azzardo morale insito in uno scambio di questo tipo. Bonhet e colleghi arruolano 192 partecipanti e li dividono in quattro gruppi differenti nei quali, a coppie, in condizioni di anonimato e con incentivi reali, simuleranno la relazione venditore-compratore descritta poco sopra.

L'equilibrio teorico nel caso di assenza di informazioni, assumendo che gli agenti siano perfettamente autointeressati, è quello nel quale il venditore si tiene i soldi del compratore e non invia nessun bene e, per questo, l'acquirente, anticipando la scelta opportunistica del venditore, sceglie di non mandare il denaro: nessuno scambio. I dati dell'esperimento, invece, mostrano qualcosa di leggermente differente: il 21 percento dei compratori si fida e invia il denaro e il 15 percento dei venditori si dimostra affidabile consegnando il bene.

Il problema è che, però, non sempre questi soggetti, fiduciosi ed affidabili, si incontrano. Può capitare cioè che un compratore fiducioso incontri un venditore opportunista e viceversa. Con i valori emersi nell'esperimento questo implica che solo il 5 percento degli scambi andrebbe a buon fine. Un mercato decisamente inefficiente.

Ad un secondo gruppo di partecipanti i ricercatori forniscono maggiori informazioni: questa volta i compratori conoscono come il venditore con il quale sono abbinati si è comportato nel passato, quante volte, cioè, è stato onesto e quante volte, invece, opportunista. In questo nuovo “setting” informativo, la percentuale dei compratori fiduciosi passa dal 21 al 31 percento e quella dei venditori affidabili dal 19 al 44. L'efficienza del mercato aumenta dal 5 al 14 percento. Un bel miglioramento.

Ma gli sperimentatori sono interessati a studiare anche un terzo effetto, quello legato all'“imitazione”. In un nuovo trattamento questa volta non solo viene data ai compratori l'informazione sull'affidabilità dei venditori ma questa viene resa nota anche agli altri venditori.

I dati cambiano ancora. In questo terzo caso, infatti, la fiducia dei compratori cresce ulteriormente, arrivando al 43 percento; aumenta anche l'affidabilità dei venditori che scelgono di comportarsi onestamente nel 62 percento dei casi. Il mercato, ora, raggiunge un'efficienza pari al 18 percento (Bonhet, I., et al. “Learning Trust”, Journal of the European Economic Association 3(2/3), pp. 322-329, 2005).

Questi risultati sembrano suggerire che in un mercato con asimmetrie informative e a rischio di azzardo morale non solo la disponibilità di informazioni sulla storia passata dei venditori fa aumentare la fiducia dei potenziali acquirenti ma, per imitazione, anche quella degli altri venditori. Un effetto simile viene osservato anche da Ginger Zhe Jin (Università del Maryland) e Phillip Leslie (Università della California – Los Angeles) nel loro studio sul settore della ristorazione. Nel novembre del 1997 la CBS mandò in onda un reportage giornalistico intitolato “Behind the Kitchen Door” (Dietro la porta della cucina).

Titolo inquetante per un'inchiesta che mostrava, attraverso l'uso di telecamere nascoste, le terribili condizioni igieniche nelle quali versavano le cucine di un numero non trascurabile di ristoranti nella Contea di Los Angeles. Lo scalpore suscitato dalle immagini assieme allo spiccato pragmatismo tipico degli americani face sì che meno di un mese dopo, nel dicembre dello stesso anno, il Consiglio della Contea emettesse un'ordinanza che rendeva obbligatoria, per tutti i ristoranti della zona, l'adozione della Hygiene Grade Card.

Da quel momento in poi ogni locale adibito alla preparazione di cibo avrebbe dovuto esporre, in bella vista sulla porta d'ingresso, un cartello con i risultati dell'ultima ispezione della vigilanza sanitaria, sintetizzati da una lettera, da A a C, con A che indica “tutto a posto” e C, invece, “condizioni insufficienti”.

Quali effetti – si chiedono Jin e Leslie - produsse l'introduzione di questo sistema reputazionale grazie al quale non solo i clienti possono verificare il comportamento passato del ristoratore, il suo grado di rispetto delle norme igieniche, ma lo stesso possono fare gli altri ristoratori suoi concorrenti? Il primo risultato che viene evidenziato è che, dopo l'introduzione improvvisa e inattesa, della nuova regolamentazione i punteggi relativi alle ispezioni dell'organismo di controllo, il Department of Health Services, migliorano di circa il 5 per cento.

A spingere i ristoratori verso un maggiore rispetto delle norme igieniche sono essenzialmente considerazioni di natura economica: prima dell'introduzione del sistema dei voti pubblici, il fatturato del singolo ristorante non appare correlato con la pulizia della sua cucina. Scontrini e valutazioni igieniche non andavano di pari passo.

Con l'Hygine Grade Card, invece, ottenere una A dopo un'ispezione fa crescere le entrate del 5 percento, rispetto a quelle dei ristoranti che ottengono una B. Per verificare che l'effetto non sia dovuto ad un cambiamento dei criteri adottati dagli ispettori, Jin e Leslie analizzano un fenomeno collegato oggettivamente all'igiene delle cucine dei ristoranti: i ricoveri per problemi gastrointestinali.

Confrontando i dati relativi agli ospedali della Contea di Los Angeles tra il 1995 e il 1999 con quelli delle altre contee si nota una significativa riduzione, pari al 20 percento, dei ricoveri per disturbi di origine alimentare. Questo si verifica non solo perché i consumatori smettono di frequentare i ristoranti di bassa qualità ma anche perché questi ultimi si impegnano a migliorare le loro condizioni igieniche. Mentre nel 1998, infatti, solo il 58 percento dei ristoranti otteneva una “A” nelle ispezioni, questa percentuale è cresciuta fino all'83 percento nel 2003.

Nello stesso periodo i profitti dei ristoranti targati “A” sono aumentati del 5,7 percento, in media, mentre i pochi ristoranti “C” ancora rimasti li hanno visti ridursi. Naturalmente le ispezioni e le sanzioni esistevano anche prima dell'introduzione del sistema della Hygiene Grade Card e, volendo, ogni ristoratore avrebbe potuto rendere pubblici i risultati delle sue ispezioni affiggendo gli esiti alla porta, ma nessuno lo faceva. È bastato introdurre, per legge, un formato standard di comunicazione verso la clientela – il sistema di voti – per attivare un sistema di incentivi capace di promuovere efficacemente gli investimenti in qualità e quindi in reputazione (Zhe Jin, G. e Leslie, P., “The Effect of Information on Product Quality: Evidence from Restaurant Hygiene Grade Cards”, Quarterly Journal of Economics 118, pp. 409-451, 2003).

Questo caso concreto, così come la teoria sottostante, sembrano mostrare inequivocabilmente che il desiderio di accumulare capitale reputazionale dovrebbe essere considerato come un potente alleato dai regolatori e dai policy-makers oltre che da chi progetta organizzazioni e mercati, perché consente, in genere, di ottenere miglioramenti di efficienza in modo decentralizzato, riducendo l'azzardo morale e spesso anche la selezione avversa, in modo efficace ed economico per la collettività. Forse anche per questo il sistema della “Grade Card” californiana si è diffuso velocemente.

Oggi in molte grandi città americane, inglesi e australiane è possibile trovare delle app per smartphone che, usando dati georeferenziati, non solo indicano i ristoranti del quartiere, le loro specialità, il prezzo medio di un pasto, ma anche la qualità igienica delle loro cucine. Un ottimo sistema di scelta per i consumatori e un bell'incentivo al rispetto delle norme. Sembra non averlo ancora capito Felix che con il suo ristorante francese sulla West Broadway a New York ottiene una brutta C; lo ha capito, invece, e molto bene, Gigino che sulla vetrina della sua trattoria a Downtown Manhattan oggi può sfoggiare con orgoglio una bella e lucrosa A.

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