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La salvezza nella piccolezza

A rinascere si impara/16 - Nelle storie di successo, occorre saper riconoscere quando fare un passo indietro.

di Luigino Bruni

pubblicato su Città Nuova il 05/06/2026 - Dalla rivista Città Nuova n.12/2024

La storia conosce una profonda legge dell’evoluzione e del declino dei popoli, delle comunità e delle persone. È una legge ad un tempo tremenda per i sovrani e provvidenziale per le comunità, perché dal declino e dalla crisi può nascere una nuova primavera, umile e più vera. Il suo centro è la gestione di quel tipico sentimento che si era impossessato di Nabucodonosor, re di Babilonia nel suo giardino, che ci viene narrato nella Bibbia dal libro di Daniele: «Passeggiando sopra la terrazza del palazzo reale di Babilonia, il re prese a dire: “Non è questa la grande Babilonia che io ho costruito come reggia con la forza della mia potenza e per la gloria della mia maestà?”» (Daniele 4,26-27). Il re, in quel momento, iniziò a pensare di essere lui la causa della grandezza del suo regno. 

Questo pensiero dominante di Nabucodonosor è estremamente importante, perché ci svela fenomeni molto comuni nelle comunità umane, soprattutto di quelle che stanno conoscendo o hanno conosciuto grandi successi. Quando la vita di una comunità o anche di una impresa cresce e si sviluppa molto, è facile che un giorno arrivi il pensiero del re babilonese Nabucodonosor. In un primo tempo, cioè nelle prime fasi della crescita e del successo, i fondatori più onesti e spirituali riescono a pensare che loro sono soltanto degli strumenti, delle “matite” nelle mani di Qualcun altro che è il vero autore del grande successo. Sono sinceri, non fingono. Ma, quasi sempre, in un altro giorno arriva puntuale il momento quando i trionfi diventano così sbalorditivi da convincere “i re” che, in fondo, senza di loro tutto quell’impero non ci sarebbe stato, e iniziano a sentirsi i padroni del loro “regno”.

Le storie collettive che sono state capaci di durare oltre la prima stagione di successo, sono quelle, molto rare, che hanno evitato questa sorta di “maledizione dell’abbondanza” (perché è una abbondanza, una ricchezza, che diventa il problema più grande). Si sono auto-sovvertite prima di coltivare e consumare il loro successo. Se invece manca l’auto-sovversione, nel momento stesso in cui quel pensiero seducente di Nabucodonosor prende possesso della mente e del cuore, inizia la crisi delle comunità. Iniziano a morire perché il grande passato divora il presente e il futuro. La Bibbia tutto questo lo sa molto bene; infatti il brano precedente così continua: «Queste parole erano ancora sulle labbra del re, quando una voce venne dal cielo: “A te io parlo, o re Nabucodonosor: il regno ti è tolto!”» (Daniele 4,28).

L’orgoglio per il grande impero si diffonde come un virus tra tutti, si auto- rafforza nei dialoghi privati e pubblici, diventa infrangibile. È una specie di malattia auto-immune, perché non arriva da fuori ma dall’interno del corpo sociale. Le poche voci critiche vengono taciute o si auto-zittiscono, perché percepite come stonate e come punti neri in un quadro che dice solo positivo e grandezza. Le poche storie di grande successo che riescono a non essere sconfitte dal proprio successo sono quelle dove i loro protagonisti sono capaci di curare questa sindrome dello stra-successo quando ancora è solo iniziale. Si fermano prima della soglia critica, prima cioè di raggiungere l’apice del successo intenzionalmente tornano poveri e piccoli, smontano la loro reggia e si rimettono a camminare nudi come il primo giorno. Si fermano dunque prima di essere diventati troppo grandi, sicuri e ricchi per riuscire a farlo. Smontano i templi e i castelli e tornano costruttori di tende mobili: l’arameo povero dei primi tempi riprende il suo cammino errante.

Come fare a capire il momento in cui fermarsi? Non è facile. C’è bisogno di persone accanto ai responsabili che non siano soltanto ruffiani o sudditi, ma amici e compagni veri che intuiscono che sta per scattare la maledizione di Nabucodonosor, lo dicono ai leader, e questi magari li ascoltano. Comunque, se non si riesce a fermare il declino, anche il crollo dell’impero può preludere ad una nuova stagione della vita di una comunità, se le persone riescono a vedere una benedizione in ciò che appare solo come sconfitta; a capire che il tempo della povertà, dell’umiltà e della piccolezza è solo l’inizio di un tempo più umano e più vero di quello dei successi e della grandezza passati. Queste comprensioni sono dono, sono grazia, non si possono programmare: possono solo accadere. Ma può iniziare il tempo della preghiera vera, scoprire un futuro migliore in ciò che sembra peggiore, una benedizione nella piccolezza, una salvezza dentro un dolore. E nel tempo della sete intonare il salmo della cerva.

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