A 10 anni dalla sua prima uscita per Il Margine, una nuova edizione del libro che ha messo insieme “ferite” e “benedizioni”: abbiamo intervistato l’autore
Luigino Bruni, perché una nuova edizione de "La ferita dell’altro"?
Per motivi soggettivi e oggettivi: dal punto di vista soggettivo, è un libro a cui sono molto affezionato perché rappresenta un momento di svolta nella mia attività di studioso (è stato il primo dialogo fra economia e Bibbia). Oltre a questo, il libro ha generato l’Ethos del mercato e poi Il mercato e il dono dove ho continuato il discorso sui fondamenti religiosi del capitalismo del nostro tempo. Dal punto di vista oggettivo poi il libro, già ristampato negli anni 6 volte, era nuovamente esaurito: con Il Margine abbiamo deciso di ristamparlo ancora ma in una edizione rivista.
Quali le novità rispetto alla prima edizione?
Sostanzialmente ho scritto una nuova introduzione su quello che è successo nel mondo, in questi ultimi 10 anni. Il libro era uscito nel luglio 2007, alla vigilia della crisi economica, devastante peri l nostro paese e per parte dell’Europa, una crisi di cui troppo pochi parlavano in quel tempo, e della quale libro individuava una ragione profonda: la crisi del volto dell’altro, la paura dell’incontro con il diverso e il capitalismo come nuova relazione immune del nostro tempo (ancora oggi questo è ben chiaro nella conclusione della prima edizione). Mi piace riportare alcuni passaggi di questa introduzione…
La ferita dell’altro ha avuto la rara sorte di essere un libro nato vivo, e quindi di crescere con me e con i tanti lettori che ha avuto, in varie lingue. È cresciuto con la storia densissima di questi dieci anni. Quando nella primavera del 2007 finii di scriverlo, la crisi finanziaria ed economica non era ancora esplosa, non c’erano ancora i social media né gli smartphones, non c’era la guerra in Siria, né le grandi migrazioni verso l’Italia e l’Europa. Non c’era stata la Brexit, né il referendum in Turchia, né la profonda crisi dell’idea di mondo più globalizzato e inclusivo. I loro segnali deboli potevano però già essere intravisti. Un pregio di questo libro è di aver intuito che le crisi che sarebbero esplose negli anni successivi avevano una causa comune: la paura dell’altro, la paura delle sue ferite e di quelle che poteva procurarci incontrandolo veramente – è questo il senso dell’ambiguo e felice titolo del libro. E quindi l’incapacità diventata collettiva di non riuscire più a vedere la benedizione nascosta dentro le ferite dell’altro e nostre.
……
L’immagine di Giacobbe e l’angelo, che dieci anni ispirò la Ferita dell’altro, ha continuato a crescere con me. Mi ha accompagnato, nutrito e ispirato per molti altri lavori, per molta altra vita. Quando dieci anni scoprii quello splendido ‘combattimento notturno’, avevo da poco iniziato a studiare la Bibbia, e non conoscevo i molti significati nascosti in quel brano, uno dei più belli e grandiosi di tutta la letteratura spirituale. Oggi scriverei molto di più, aggiungerei altri significati, spiegherei altri simboli di quel capitolo della Genesi. Ma non lo farò, i libri che nascono vivi non si modificano, vanno rispettati e salvati dalle mani del suo stesso autore.
vedi scheda libro
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