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Economia e vocazione

Ci sono poi imprenditori e imprenditrici che nascono per una vocazione. Perché un giorno, magari dentro una crisi, una malattia, una depressione,  hanno sentito il loro nome pronunciato da una voce buona.

di Luigino Bruni

pubblicato su Città Nuova il 12/02/2020 (da pdf Città Nuova (56 KB) n.01/2020 di Gennaio 2020)

«Un giorno, da bambino, mio padre arrivò in fabbrica 20 minuti in ritardo per avermi accompagnato in ospedale per una crisi asmatica. Quel ritardo gli costò 4 ore di stipendio in meno. In quel momento nacque dentro di me “qualcosa” di nuovo, che nel tempo è maturato. Non so cosa esattamente fosse: forse rabbia, forse dolore; so comunque che quel giorno è stato decisivo nella mia scelta che molti anni dopo feci di fondare una mia impresa dove quel “qualcosa” che avevo visto e vissuto non ci doveva essere più, nei genitori e nei bambini». Questo episodio, raccontato da Francesco, un giovane imprenditore, ci dice molte cose su che cosa abbiano vissuto molti imprenditori veri.

Se andiamo a leggere con attenzione le storie di molti imprenditori, ritroviamo molte vicende simili a quelle di Francesco. Hanno fatto nascere un’impresa in seguito a un’esperienza speciale, a un dolore. Lo hanno fatto forse solo per non lasciar morire l’azienda di famiglia dove erano cresciuti da bambini, dove facevano i compiti mentre i genitori trascorrevano in quel negozio, in quel ristorante o fabbrica i loro anni migliori.

Magari li avevano visti lottare per non chiudere in momenti difficili, per non licenziare un padre di famiglia, li avevano visti piangere, litigare e fare pace. Perché in quella ditta avevano visto soltanto carne e sangue, avevano visto solo vita. E crescendo hanno continuato l’impresa come si continua a vivere. All’origine di queste imprese di seconda o terza vocazione non c’è sempre una “vocazione”, perché nella terra ci sono cose meravigliose fatte anche da chi non ha mai sentito una voce interiore che lo/la chiamava; magari hanno sentito soltanto la voce di un genitore, di un amico o del dolore dei poveri, e hanno detto “eccomi”.

Non hanno fatto l’esperienza del profeta Isaia, ma gli somigliano molto, anche perché, qualche volta, la chiamata arriva dopo, non prima, la nascita dell’impresa.

Altre volte l’impresa nasce per un incontro, per cogliere un’opportunità, senza che, neanche qui, ci sia una specifica vocazione. Qualche volte anche queste imprese-opportunità possono essere cose buone, e generare autentiche esperienze umane, creare beni, posti di lavoro, salari e ricchezza per tanti. Molte imprese reali nascono così, e alcune nascono o diventano cose belle.

Altre imprese nascono, invece, per una rivincita, per una sfida, persino per una forma di vendetta, per far vedere a un padrone che non si stimava che siamo bravi almeno quanto lui, se non di più. Queste imprese, però, raramente hanno successo, perché questi sentimenti negativi (molto comuni) non sono adatti ai mercati e all’economia. L’imprenditore che cresce bene deve guardare il mondo con positività, deve guardare la ricchezza e i talenti degli altri come opportunità per la sua propria crescita e ricchezza futura. L’invidia non è mai una virtù, tanto meno non è una virtù del mercato.

Ma ci sono poi imprenditori e imprenditrici che nascono per una vocazione, per una chiamata. Perché un giorno, magari dentro una crisi, una malattia, una depressione, un lutto, dentro un’inquietudine nel lavoro che tanti gli invidiavano ma che lui/lei sentiva come una gabbia, hanno sentito il loro nome pronunciato da una voce buona. Lo hanno sentito pronunciare in modo chiaro, anche quando non avevano una fede religiosa per chiamare l’autore di quella voce: “Dio” – nel mondo ci sono più persone chiamate delle persone religiose.

Hanno sentito che il loro posto al mondo passava nel dar vita a una cooperativa, a un’associazione, a un’impresa; che quell’economia non era solo economia: era anche un’economia della salvezza, loro e di altri. Hanno capito che se non avessero risposto: “eccomi”, la loro vita sarebbe sfiorita. E hanno risposto.

L’economia ha bisogno di tutte queste forme di imprenditori, di questa tipica biodiversità. Ma senza l’economia per vocazione manca il lievito, e il pane nel mercato è sempre azzimo. La bella notizia è che ogni mattino la voce continua a chiamare nuovi imprenditori. E quando li incontriamo e li riconosciamo, è sempre un giorno di festa – per noi, per loro, per tutti. Perché non c’è bene comune senza santi, artisti e imprenditori.

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