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Covid e relazioni

Non ce ne renderemo conto subito, riprenderemo a uscire insieme, certo; ma questo anno mancante lascerà un vuoto nella tela delle nostre relazioni. 

di Luigino Bruni

pubblicato su Messaggero di Sant'Antonio il 18/03/2021

Ci vorrà molto tempo per fare bene i conti dei danni di questo lungo anno 2020 che, a dispetto delle regole, non vuole finire mai. I conti più facili da fare sono quelli economici, quelli registrati sui libri contabili e nel PIL nazionale; molto più difficili sono invece i «conti morali» nell’anima di imprenditori che hanno vissuto questo tempo sull’orlo del precipizio, che andavano a letto senza la certezza che il giorno dopo la loro azienda ce l’avrebbe fatta. Questi conti si fanno molto male, perché non abbiamo la moneta adeguata, perché li dimentichiamo presto per poter continuare a vivere. Ma, anche se li dimentichiamo, restano là, tenaci, e operano nella nostra vita, affiorano quando meno ce l’aspettiamo, e tutto torna vivo e vero come nei momenti in cui accadevano.

Tra i danni quasi invisibili del covid – p.s. il mio correttore continua a trasformare covid in covi: non ha ancora imparato il suo nome dopo tutto questo dolore degli umani –, ci sono anche quelli al nostro capitale relazionale, al nostro patrimonio di amicizia e di rapporti umani. Al di là dei colori delle nostre regioni e province, sono ormai molti mesi che abbiamo dovuto ridurre, a volte eliminare, gli incontri con i nostri amici e parenti. L’amicizia, lo sappiamo, è sottoposta a deterioramento per disuso e abbandono; come le case, i palazzi, i giardini, i fiumi, che se non li curiamo perdono valore, cambiano aspetto, l’ambiente circostante se ne reimpossessa, fino a non farceli vedere più, a non riconoscerli. Non parlo di quei pochissimi amici che non sono sottoposti a questa forma di obsolescenza. Questi ci sono, quasi sempre, ma sono pochi, a volte pochissimi.

Ma la nostra felicità e il nostro benessere dipendono anche da quegli amici «normali», che non sono amicissimi e speciali, ma che fanno la nostra vita più ricca e bella. Quelli che vediamo ogni tanto, per i compleanni o per gli aperitivi, gli amici del calcetto, della partita a carte al bar dello sport, quelle chiacchierate tra amiche dove il primo piacere sta proprio nel tempo sprecato, quando ci si dimentica l’orologio per stare, semplicemente, insieme, a scambiarci l’anima e le parole. O anche i passaggi in auto con i colleghi, dove non si parla di lavoro ma di tutto il resto, un resto non di lavoro che poi rende più umano anche il lavorare.

In questo anno queste relazioni le abbiamo ridotte molto, troppo. Ci siamo abituati a trascorrere pomeriggi e giorni di festa da soli o con una o due persone, sempre le stesse. Nei primi tempi ci stavamo male, sentivamo l’assenza del corpo degli amici; poi col passare dei mesi ci siamo abituati alla solitudine e alla socialità a scartamento ridotto, fino a quasi non sentire più la nostalgia per i mancanti incontri, per i non-abbracci, per quei baci che erano il primo linguaggio dell’amicizia. Noi umani sappiamo abituarci anche alla nostra infelicità.

Non ci pensiamo, non ne parlano i media né la televisione, non è tra le priorità del recovery plan, nessun politico lo mette tra le sue urgenze. Ma noi usciremo da questa crisi (se ne usciremo mai del tutto) con una forte svalutazione del nostro patrimonio relazionale. Non ce ne renderemo conto subito, riprenderemo a uscire insieme, a frequentare le case gli uni degli altri, certo; ma questo anno mancante, come e più dell’anno di scuola dei nostri ragazzi, lascerà un vuoto, un buco nella tela delle nostre relazioni. Non nascondiamolo, perché solo vedendolo lo potremo ricordare.

Credits Foto: © Giuliano Dinon / Archivio MSA

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